il Giornale, 2 luglio 2019
Gallina, asino e altre razze domestiche in estinzione
La gallina padovana, il cavallino della Giara, l’asino ragusano, la capra di Benevento e la pecora bellunese. Non sono solo alcune fra le più apprezzate razze da allevamento autoctone italiane: oggi questi animali sono tristemente noti perché considerati a rischio in estinzione. Il numero degli esemplari è sceso progressivamente, fino a far scattare l’allarme. Secondo gli ultimi dati elaborati dalla Fao, e rilanciati da Coldiretti, sono attualmente 130 le razze da allevamento sull’orlo della scomparsa nel nostro Paese.
Nella lista nera ci sono equini, bovini, razze aviarie, ovini e suini. Tutti segnati dallo stesso destino: sparire per sempre a causa di incroci indiscriminati fra le razze, importazione di esemplari esotici, politiche di conservazione troppo deboli, produzioni sempre meno sostenibili, perdita degli habitat e controlli inefficaci. Ma soprattutto a causa di scelte commerciali che premiano solo gli animali considerati più produttivi dal punto di vista economico e industriale. Il risultato è che una parte della biodiversità italiana potrebbe andare definitivamente perduta.
CHI RISCHIA DI PIÙ
«Attualmente sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, dieci di maiali, dieci di avicoli e sette di asini conferma Lorenzo Bazzana di Coldiretti -. Dell’asino romagnolo, noto per il suo temperamento vivace, sono rimasti solo 570 esemplari impegnati nella produzione di latte per uso pediatrico e per l’onoterapia. Della capra Girgentana dalle lunghe corna si contano circa 400 capi per la produzione di latte destinato alla produzione di un formaggio tipico. Infine, i bovini di razza Garfagnina con mantello brinato e pelle di colore ardesia sono ridotti a circa 159 capi, mentre quelli di razza Pontremolese sono rimasti appena in 85». Si tratta di una strage silenziosa, e molto meno nota di quella che minaccia gli animali selvatici. Ma non per questo meno allarmante. Basti pensare che sono già 647 le razze domestiche ufficialmente estinte.
«Quello che colpisce adesso è la velocità di questo fenomeno prosegue Bazzana -. Se nel corso del Ventesimo secolo sono andate perdute 111 specie, nei primi cinque anni dopo il Duemila se ne sono contate 66. Mentre dal 2005 a oggi abbiamo perso circa trenta varietà di animali da allevamento. In tutta Europa circa metà delle razze esistenti all’inizio del Novecento non esiste più. Circa un terzo delle rimanenti 770 rischia l’estinzione entro i prossimi vent’anni». Con conseguenze devastanti sia dal punto di vista ambientale sia economico. «Le razze locali rappresentano una risorsa fondamentale per l’agricoltura perché possiedono una grande biodiversità e sono una riserva di variabilità genetica spiega Licia Colli, docente di Animal science all’università Cattolica -. Questi animali sono presenti sul territorio da secoli, se non da millenni. Durante questo tempo, hanno evoluto caratteristiche uniche di adattamento all’ambiente e alle condizioni di allevamento locali, per esempio la resistenza alle malattie, la tolleranza alle temperature estreme o la capacità di sfruttare anche pascoli poveri, a differenza delle razze industriali, assai meno adattabili.ECONOMIA KO
A fronte dei cambiamenti climatici di cui oggi siamo testimoni, le razze locali con i loro adattamenti potrebbero rappresentare le risorse chiave per garantire la produttività agricola in un mondo che cambia rapidamente». Ma non finisce qui, perché perdere questo tesoro potrebbe causare anche grossi danni dal punto di vista economico.
«La scomparsa di questi animali comporterebbe la perdita irrimediabile di biodiversità e variabilità genetica, cioè di risorse insostituibili e strategiche per adeguare l’agricoltura ai cambiamenti climatici e alle future richieste del mercato va avanti l’esperta -. Di conseguenza, questo impoverimento avrebbe conseguenze economiche negative. Con la scomparsa delle razze locali, inoltre, andrebbero persi il loro valore culturale e una parte della storia del nostro territorio».
Ma nonostante questo il fenomeno sembra inarrestabile. «Gli animali considerati meno produttivi sono soprattutto quelli cresciuti nelle zone più marginali, in condizioni disagiate prosegue Alessia Tondo, dell’Associazione italiana allevatori -. Oggi gli allevamenti rustici all’aperto sono sempre più rari, e questo porta a un progressivo abbandono anche delle zone di montagna, dei pascoli e delle tradizioni della transumanza. E così il territorio è sempre meno presidiato dall’uomo, mentre tradizioni antichissime rischiano di essere dimenticate». Insomma il problema non è solo ambientale, ma è soprattutto economico e culturale. Per questo sia a livello internazionale sia a livello locale sta aumentando la sensibilità verso questi temi. «La strategia che anche la Fao indica per la conservazione delle popolazioni e razze in via di estinzione è essenzialmente la promozione e la tutela delle produzioni zootecniche tipiche dice Tondo -. In Italia questa politica è stata adottata e le produzioni di moltissime razze in via di estinzione sono legate ai marchi Dop e Igp. Da parte sua, l’Unione europea all’interno della politica agricola comune ha istituito premi agli allevatori che conservano animali in via di estinzione.
Inoltre, attraverso la tenuta dei registri anagrafici, lo Stato italiano promuove il controllo dei trend delle popolazioni per il monitoraggio delle razze e il necessario controllo della consanguineità che, in popolazioni molto piccole, rischia di essere troppo elevata aumentando il rischio di estinzione».
FERMARE L’ESTINZIONE
Anche a livello regionale qualcosa si sta muovendo per preservare questo patrimonio naturale e culturale. Il ministero delle Politiche agricole ha infatti attivato già da alcuni anni il Piano nazionale sulla biodiversità di interesse agricolo. Un programma che comprende una serie di linee guida per la conservazione e la caratterizzazione della biodiversità animale di interesse per l’agricoltura, che devono essere messe in atto a livello locale proprio dalle singole Regioni. Nel frattempo però animali simbolo di interi territori diventano sempre più rari.
È il caso, per esempio, della mucca Pontremolese: un tempo molto diffusa fra Lucca, Livorno e Siena oggi sopravvive solo grazie a circa 85 soggetti superstiti. Estremamente difficile da trovare è anche il cavallo Lipizzano, visto che i capi attualmente presenti sono circa 376. Quasi scomparsi sono anche l’asino Pantesco (77 capi e solo quattro allevamenti) e il cavallo Napoletano (appena 27 capi e otto allevamenti). Ma una notizia positiva c’è. La razza bovina Reggiana, fino a qualche anno fa considerata fortemente a rischio, gode di nuovo di buona salute.
Il merito è di una politica di recupero che si basa sulla capacità di questi animali di produrre latte utile per la produzione di parmigiano reggiano. Proprio da questa esperienza potrebbe partire la riscossa di altre razze, a volte dimenticate ma sempre preziose per la salvaguardia del Made in Italy.