la Repubblica, 2 luglio 2019
A Wimbledon Coco, la bambina prodigio
Il primo giorno di Wimbledon regala storie in stile sliding doors, che si contrappongono e si fronteggiano: dal trentenne italiano Thomas Fabbiano con la sua vita piena di cicatrici, ma ostinato nel volersi togliere finalmente lo sfizio più grande della sua vita contro Stefanos Tsitsipas, n. 6 del mondo e ventenne greco stella del firmamento fino a Cori (Coco) Gauff, la quindicenne americana al suo primo Slam, che batte la sua eroina Venus Williams che, a 39 anni, le potrebbe essere mamma (e si somigliano e si richiamano come due gocce d’acqua). Quest’ultimo è il match che aveva colpito di più l’immaginario degli appassionati, che lo avevano definito come lo scontro dei millenni: infatti Coco e Venus erano divise da 257 posti in classifica, 41,4 milioni di dollari (quelli guadagnati da Venus) e 24 anni di età. Ha prevalso Coco, trionfatrice al Roland Garros juniores 2018 e figlia di una ex star del basket statale e una madre atleta di atletica leggera all’università, supera la giocatrice più anziana del torneo, e diventa da oggi la più giovane a vincere un match Slam dai tempi di Anna Kournikova agli US Open 1996, e la più giovane a Wimbledon dal 1991 (Capriati). «No, non le ho chiesto scusa ma l’ho ringraziata per tutto quello che ha fatto e dato allo sport, per l’ispirazione che ha dato a tutti noi, sia lei che Serena. Anche il gioco che amo è quello di Federer. E alla fine piangevo e ho pregato e ringraziato Dio per tutto questo. L’ultima volta che avevo pianto era stata al cinema, al film Endgame. Ah, se possibile chiamatemi Coco, grazie».
Di sicuro guadagnerà tanti altri titoli e, per evitare le buche più dure, potrà (volendo) farsi consigliare da Thomas Fabbiano. Perché anche l’azzurro, un ragazzo dell’89, a livello juniores era una specie di prodigio. Ma, chissà se per la troppa voglia o altro, a 21 anni si è trovato solo, con quelle sliding doorsche non scorrevano più. Per fortuna Thomas non ha mollato, e ha preso a ricostruirsi, nonostante gli inciampi, le delusioni, anche una certa delusione per la solitudine. Al di là della vittoria di ieri su Tsitsipas, gli si può assegnare la medaglia d’oro della cocciutaggine. «Sì, sono dovuto arrivare a 30 anni per prendermi le soddisfazioni. Raccontate chi sono, la mia storia, il mio percorso e le mie sconfitte, non celebrate solo questa partita». Non lo faranno sindaco a San Giorgio Jonico. «No, quella faccenda riguarda il mio papà che lo è già stato e mio fratello Roberto, al massimo», dice ridendo, stavolta consapevole della prestazione. «Non come l’anno scorso, quando battei Wawrinka. E poi, nel match successivo non c’ero con la testa». Un anno dopo, alcune cose sono cambiate: «Il clic è scattato a Eastbourne: ero sotto un treno e invece sono arrivate delle vittorie».
Fabbiano ha fatto delle sue presunte debolezze le virtù: «Sono alto 173 cm e ho lavorato sull’elasticità, sull’esplosività muscolare». È andato a Bordighera, aggregandosi al gruppo di Max Sartori insieme al suo coach Federico Placidilli, alzando l’asticella: basta con i tornei Challenger, rischiare tutto sui tornei Atp. Ed ecco i risultati, che vedono premiata la costanza di un ragazzo permaloso ma sensibile, goloso della pasta e cozze della zia, pazzo per i sorrisi dei bambini e con la memoria d’elefante per le cicatrici sportive che si porta dietro: «Quelle mi hanno fatto arrivare fin qui». Gli resta un sogno, pubblicamente confessato: «Giocare sul centrale di Wimbledon». Quel giorno si sta avvicinando.