la Repubblica, 2 luglio 2019
Amazon assume anche al Sud
MILANO. L’ecommerce italiano cresce in doppia cifra e Amazon, entrata nel Paese nel 2011, farà nell’anno in corso mille nuove assunzioni a tempo indeterminato. A fine 2019 Amazon avrà 6.500 dipendenti in Italia, dice a Repubblica la country manager, Mariangela Marseglia, che rivendica l’impatto positivo sul mercato del lavoro.
Dove crescete in Italia e che posti di lavoro saranno?
“Creiamo posti di lavoro non soltanto in Veneto, Lombardia e Piemonte, dove ovviamente abbiamo una presenza importante, ma anche nel Lazio, in Campania, in regioni che non sempre hanno grandi investimenti. Ieri è stato aperto il centro di distribuzione di Torrazza Piemonte, ma inauguriamo un centro anche ad Arzano, in provincia di Napoli. Ci sono pochissime multinazionali che hanno il coraggio di aprire a Napoli, ma del resto c’è tanta domanda. Se vuoi coprire tutto il Paese ci devi andare, e non credo che sarà il nostro centro più a Sud. In questo momento siamo anticiclici: non ci sono tante aziende che creano così tanti posti, non solo nei magazzini ma anche nei centri di ricerca, dunque non solo quantità ma anche qualità”.
Il lavoro nei magazzini ha spesso portato ad Amazon delle critiche. In Italia i lavoratori hanno chiesto e ottenuto un nuovo contratto. Come giudica il dialogo con i lavoratori?
“Rispetto ad altri Paesi il livello di conflittualità è molto basso, perché c’è un dialogo costante con le persone che lavorano nei centri logistici e soprattutto le condizioni di lavoro sono buone. A volte arrivano notizie rispetto ad altri Paesi, anche un po’ gonfiate. Noi siamo orgogliosi delle condizioni di lavoro che offriamo. Io ci vado spesso, non mi piacerebbe lavorare per un’azienda che tratta male i dipendenti. Dal punto retributivo siamo nella fascia alta del contratto della logistica e offriamo altri benefit, per esempio paghiamo gli studi ai lavoratori che lo volessero. Abbiamo un’ossessione per la sicurezza e infatti il livello degli incidenti è molto basso”.
Controllate le condizioni di lavoro dei fornitori?
“Anche se non si tratta di nostri dipendenti, imponiamo un codice etico e degli standard, che andiamo a controllare con audit periodici. Quest’anno abbiamo deciso di non lavorare più con determinati fornitori, anche se ci davano condizioni vantaggiose perché non raggiungevano i nostri standard. Il cliente identifica il driver che arriva a casa con Amazon, anche se non è un nostro dipendente, per cui controlliamo e facciamo rispettare le regole”. I clienti non ci scelgono solo per i prezzi ma per l’efficienza del servizio. Il prossimo obiettivo è portare a casa la spesa fresca
Come stanno cambiando i clienti dell’ecommerce?
“Quel che sto vedendo in Italia e all’estero è una maggiore attenzione, soprattutto nei più giovani, non soltanto sul prezzo ma su come l’azienda opera. I clienti vogliono essere sicuri di comprare da un’azienda che non sfrutti il lavoro o che sia attenta all’ambiente”.
Quanto conta essere così grandi in un’epoca in cui negli Stati Uniti, in Europa e anche in Italia l’antitrust indaga?
“Molte delle problematiche a livello di immagine vengono dal fatto che siamo percepiti come grandi”.
Però è vero che siete grandi.
“Siamo grandi perché lavoriamo in tanti settori diversi e Paesi: è un modello di business che sarebbe stato sciocco non replicare. Ma in realtà ciò che dovrebbe interessare chi si occupa di antitrust è il nostro peso nei singoli segmenti, che è basso: se pensi al cibo, l’ecommerce vale l’1% e noi siamo una porzione di quello. Nell’elettronica di consumo l’ecommerce arriva al 20% e noi siamo una parte. Quindi parlare di posizione dominante non ha molto senso. Un’azienda dev’essere fermata quando la sua posizione considerata dominante va a svantaggio del cliente finale, e nel nostro caso non è così”.
Per ora anche la Federal Trade Commission ha sempre ragionato così ma c’è un dibattito acceso su questo punto. E c’è chi sostiene che in un’epoca di dati non tutto sia misurabile con il prezzo.
“È utile ragionare nel merito. Non è solo una questione di prezzi bassi, è la possibilità dei clienti finali o dei venditori di essere in grado di scegliere. La ragione per cui scelgono noi non sono particolari vincoli, è l’efficienza del servizio. È molto più efficace essere scelto per il servizio piuttosto che per la barriere che poni, perché, come dimostra la storia, le barriere sono superabili”.
Negli Stati Uniti Amazon consegna ormai più pacchi di Fedex, Ups e Usps. In Italia?
“Da noi non c’è un processo di sostituzione, piuttosto c’è un processo incrementale: abbiamo costruito una capacità addizionale nostra perché tutta la capacità disponibile sul mercato non era sufficiente a garantire la domanda. Continueremo a usare Poste Italiane, ci serve tutta la capacità sul mercato. Oggi uscivo di casa e anche se non siamo ancora al Prime Day (quest’anno per due giorni, il 15 e 16 luglio) ho visto arrivare il postino con dieci pacchi di Amazon. La mia portiera (che sa cosa faccio) mi ha guardato e quasi si lamentava perché le riempiamo il gabbiotto”.
La spesa quotidiana online, il cosiddetto fresco, è ancora molto di nicchia. Perché?
“È ancora molto difficile, serve una catena logistica molto veloce, con il freddo. Per il momento ci siamo con PrimeNow a Milano e Roma: stiamo imparando, testando, non rinunceremo a essere presenti nel segmento, è una grande opportunità di business e per i clienti. Oggi la domanda esiste, non c’è l’offerta”.
L’ecommerce cresce e gli italiani sono sempre più digitali. Il governo sta aiutando questa spinta?
“Sono felice di avere un’azienda che cresce e non debba dipendere da questo o quel governo. La frustrazione è essere costretti a fare più fatica a crescere di altri paesi. Ci sono anche buone intenzioni, nessuno si metterebbe contro il digitale o l’export, ma manca un piano strutturato per passare dalle parole ai fatti”.