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 2019  luglio 02 Martedì calendario

Biografia di Tom Cruise

Tom Cruise (Thomas Cruise Mapother IV), nato a Syracuse (New York, Stati Uniti) il 3 luglio 1962 (57 anni). Attore. Produttore cinematografico. «La perfezione assoluta non si raggiunge mai, però è una bella mèta. In ogni campo. E, se lavori in quella direzione, lasciando a un progetto, a un’aspirazione, lo spazio per evolversi, non rischi di soffocarlo. Ti ci dedichi con tutto te stesso, anche se sai che non raggiungerai mai il tuo ideale. Ma lo fai comunque, mettendo in conto i problemi che la vita ti pone di continuo. Ecco: questo vuol dire essere realista. E io sono un realista. Una persona pragmaticamente, romanticamente realista» • Ascendenze tedesche, inglesi e irlandesi • Terzo – e unico maschio – dei quattro figli di un’insegnante e di un ingegnere elettronico. «Da ragazzino ero spericolato, e un po’ pestifero con le mie sorelle: facevo scherzi tipo infilare una biscia nel loro cestino della merenda. Non ero un ragazzino particolarmente furbo, facevo un sacco di scemenze. Ricordo una volta, avevo quattro anni: me ne stavo da solo a giocare con i G.I. Joe, i soldatini giocattolo, alcuno dei quali erano marines e avevano un paracadute. Allora presi le lenzuola, le attaccai a delle corde che mi legai intorno alla vita e saltai dalla finestra, convinto che si sarebbero aperte proprio come un paracadute. Devo dire che la finestra non era troppo alta, e soprattutto che non ho provato a rifarlo. […] È stata la mia prima scena a rischio» (ad Arianna Finos). Infanzia poco serena, segnata da un padre violento («Era un prepotente e un codardo. Era quel genere di persona che, se qualcosa andava male, ti prendeva a calci») e da numerosi trasferimenti. «I miei genitori divorziarono quando avevo 12 anni e mio padre, un ingegnere elettronico, se ne andò lasciandomi con mamma e le mie tre sorelle. Dopo poco tempo, da Ottawa, nell’Ontario, ci trasferimmo in Kentucky e poi in New Jersey, dove mia madre si risposò. Ma già prima, durante la mia infanzia, a causa del lavoro di papà che ci costringeva a continui trasferimenti, la mia vita era sempre stata instabile, insicura. Non facevo in tempo a farmi degli amici che eravamo pronti a fare le valigie di nuovo. Così diventai un vero selvaggio, un ragazzino perennemente irrequieto. Fortunatamente c’era lo sport a fare da valvola di sfogo al mio iperattivismo. Mi dedicai alla lotta agonistica, lo capisco adesso, per far piacere a mio padre, che mi aveva inculcato questa idea che non si può perdere, a nessun costo. Finché lui era ancora a casa, se tornavo a casa da una zuffa con altri bambini pesto e bastonato, lui mi rispediva fuori. La sua idea era che, prima ancora degli altri, bisogna sfidare se stessi continuamente: un concetto che ha attecchito nella mia psicologia durante l’infanzia» (ad Alessandra Venezia). In seguito al divorzio dei genitori, «il ragazzo […] aveva vissuto tempi duri mentre sua madre si faceva in quattro per mandare avanti la famiglia. "In casa c’era sempre da mangiare, ma certo era dura. Quasi ogni anno eravamo costretti a spostarci da una città all’altra del sud, e ogni volta dovevamo farci dei nuovi amici. Ma eravamo una famiglia molto unita. Mia madre faceva tre lavori per assicurarci vitto e alloggio: insegnava, lavorava in un negozio di elettrodomestici e la sera vendeva articoli elettrici. Tutti noi facevamo qualche lavoretto per avere un po’ di soldi in tasca. Io tagliavo l’erba e consegnavo i giornali. Le mie sorelle facevano le cameriere e le baby sitter. Non potevamo permetterci abiti nuovi, così mi toccava mettere i vestiti smessi da mio cugino, il che significava girare con scarpe da tennis troppo grandi e maglioni trasandati e di misure più grandi della mia. Per questo, a 14 anni, entrai all’istituto dei francescani [un seminario di Cincinnati – ndr]. Era sovvenzionato dalla Procter & Gamble: così potevo avere di che mangiare e vestire, e questo era ciò che contava. […] Ma sentivo la mancanza delle ragazze. […] Così, dopo un anno, me ne sono andato. […] In effetti, credo di non aver mai preso in seria considerazione l’idea di diventare prete". Ovviamente, tutto questo fece sì che maturasse in fretta. "Sono cresciuto sentendo fortissima l’esigenza di proteggere mia madre e le mie sorelle. Magari il mio ruolo non era quello di un padre, ma, come unico maschio, mi sentivo responsabile della famiglia. Non sono stati anni cattivi. Ci volevamo bene e si rideva. È sorprendente come si possa reagire quando si è costretti a lottare. Ci aiutavamo l’uno con gli altri, anche se il peso gravava soprattutto su mia madre, che per noi voleva il meglio e non sempre riusciva a darcelo". Se poi si pensa che Cruise, come le sue sorelle, era dislessico, si può comprendere ancor meglio le difficoltà che è riuscito a superare» (Ivor Davis). «Per Thomas Mapother IV […] la vita vera è cominciata nel New Jersey, il giorno in cui ha iniziato a studiare recitazione, dopo che una lesione ad un ginocchio lo aveva costretto ad abbandonare la squadra di wrestling, sport molto duro basato sulla lotta» (Fulvia Caprara). Debuttò allora al liceo nella messinscena di Bulli e pupe, e poco dopo, ottenuto il diploma, si trasferì a New York in cerca di miglior fortuna, con la benedizione della famiglia. «Inizia allora la sua costruzione fisica e personale: tanto sport per metter su muscoli, le scuole di recitazione la notte i provini il giorno». (Lucy Kaylin). «A New York, nell’80, l’attore lavorava come addetto alla manutenzione degli autobus cittadini, ma solo un anno dopo faceva la sua prima apparizione sul grande schermo: fu Franco Zeffirelli ad affidargli una piccola parte in Amore senza fine» (Caprara). «Il ragazzo ci appare per la prima volta mentre calcia energicamente un pallone. Indossa pantaloncini con spacchetti laterali che esibiscono le gambe palestrate. Giunto a bordo campo accaldato e orgoglioso del suo fisico, si toglie la maglietta, si rotola nell’erba e scambia qualche battuta con i compagni di squadra. Una scena di poco conto (47 secondi) in un film di ancor minor valore» (Finos). «Con i soldi ricevuti, Cruise investe su se stesso: migliora sensibilmente il suo aspetto fisico e combatte la dislessia. Nel 1982 è nel cast di Taps, e già l’anno dopo è protagonista nel suo primo successo, Risky Business (1983). […] Nel 1983 è protagonista del fantasy Legend (1983), ma è Top Gun (1986) di Tony Scott a creare il mito. Il film incassa moltissimo, e Tom diventa il nuovo idolo delle spettatrici di mezzo mondo. Lo stesso anno dimostra di avere […] anche cervello affiancando il mostro sacro Paul Newman in Il colore dei soldi (1986), che darà l’Oscar al leggendario attore e permetterà al giovane Cruise di "farsi le ossa" nel cinema d’autore. Nel 1988 conferma il suo appeal con Cocktail (1988), filmetto senza pretese che comunque incassa uno sproposito. Sempre lo stesso anno è al fianco di un altro mostro sacro, Dustin Hoffman, in Rain Man (1988): si ripete la storia del lustro precedente: Oscar al grande attore e buone valutazioni per Tom, che […] affina le sue capacità. L’anno successivo […] è protagonista di Nato il 4 luglio (1989), poco riuscito apologo pacifista di Oliver Stone» (Andrea Chirichelli). «Così Cruise arriva all’inizio degli anni Novanta che è già l’attore più pagato del mondo, coi suoi 15 milioni di dollari a film. Intanto, sul set di Giorni di tuono incontra un’attrice dai capelli rossi e ricci, un’australiana grintosa che diventerà sua moglie: Nicole Kidman (lui era stato sposato in precedenza con un’altra collega, Mimi Rogers). Insieme, adottano due bambini» (Claudia Morgoglione). «Il secondo film girato dalla coppia non è un granché: di Cuori ribelli (1992) resta impressa solo la magnifica canzone omonima di Enya. I grandi successi però non tardano a tornare: i thriller legali Codice d’onore (1992) ed Il socio (1993) riscuotono il plauso di pubblico e critica. Tom fa un mezzo passo falso con il gotico e barocco Intervista col vampiro (1994), dove condivide la scena con altri due belloni: Brad Pitt e Antonio Banderas. Cruise decide quindi di fondare una sua casa di produzione e di portare sullo schermo una serie televisiva di grande successo negli anni ’60: Mission: Impossible (1996). Il primo film è diretto da Brian De Palma, incassa milioni di dollari ed è considerato uno dei migliori film del genere degli anni ’90. Dopo il simpatico Jerry Maguire (1996), arriva l’occasione di passare in serie A. Il genio, il maestro Kubrick, vuole la coppia Cruise-Kidman per quello che sarà il suo ultimo film: Eyes Wide Shut (1999). Se il risultato lascia la critica divisa tra capolavoro e occasione sprecata, una cosa è certa: per i coniugi cambia tutto. La Kidman comincia a diventare sempre più famosa e richiesta, e Cruise non è più solo il divo di cassetta senza spessore. La coppia scoppia, ma Cruise sublima il dolore con una parte minore nel bellissimo Magnolia (1999), […] la sua migliore interpretazione di sempre. Nel 2000 indossa nuovamente i panni di Ethan Hunt diretto da John Woo nello spettacolare sequel Mission: Impossible II, mentre Vanilla Sky (2001) gli fa conoscere la nuova fiamma Penélope Cruz e superare per l’ennesima volta il traguardo dei 100 milioni di dollari incassati. Il film non è granché, però la gente non sembra accorgersene» (Chirichelli). Poco dopo, Cruise «offre una straordinaria prova di maturità artistica interpretando il ruolo del poliziotto ricercato per un delitto che non ha ancora commesso in Minority Report (2002) di S. Spielberg, tratto da un racconto di P.K. Dick. Anche il killer cinico e spietato di Collateral (2004) di M. Mann, che gira in taxi nella notte di Los Angeles con una missione di morte da portare a compimento, rientra senza dubbio fra le sue interpretazioni più riuscite ed efficaci. Alterna ruoli più impegnativi, come in Leoni per agnelli (2007) di R. Redford, a interpretazioni di routine, come nello spettacolare Mission: Impossible III (2006) di J.J. Abrams. In La guerra dei mondi (2005) di S. Spielberg è un padre assente che tenta di salvare la propria famiglia da un attacco alieno» (Gianni Canova). Tra la seconda metà degli anni Duemila e l’inizio del decennio successivo, periodo durante il quale visse il suo terzo matrimonio (2005-2012) con l’attrice Katie Holmes (classe 1978) – da cui nel 2006 ebbe Suri, la sua unica figlia biologica –, l’immagine di Cruise parve appannarsi, anche a causa del suo fortissimo e onnipervasivo legame con la setta di Scientology («Vi sono stato introdotto dalla mia ex moglie Mimi Rogers, il cui padre era uno dei fondatori del capitolo di Los Angeles: mi ha aiutato molto a superare i miei problemi con la dislessia, dunque a crescere»). «Una fede totalizzante, che lui esige anche da chi gli sta vicino, e che è tra i probabili motivi della fine del matrimonio con la Kidman (così come con la Holmes: un meccanismo che si ripete). Dopo la separazione da Nicole, e dopo un periodo di fidanzamento con Penélope Cruz, arriva il suo momento mediaticamente più difficile, che coincide proprio con l’inizio della love story con Katie. È il periodo in cui lui straparla in tv, salta scompostamente sul divano di Oprah Winfrey per far vedere quanto è innamorato, attacca furiosamente Brooke Shields sull’uso di antidepressivi post-parto. Anche il matrimonio, celebrato a Bracciano alla presenza di uno stuolo di star, viene criticato dai media perché troppo sfarzoso, più da principe che da attore. Negli anni successivi anche i suoi film, come Operazione Valchiria, vengono stroncati. Il rischio di uscire dall’Olimpo hollywoodiano, di diventare un personaggio del gossip e non più del cinema “vero”, è dietro l’angolo. Ma lui, Tom, non molla: e così nel 2012, grazie al quarto capitolo della saga Mission: Impossible, torna a dimostrare che lui, un divo, lo è ancora. Dentro, e non solo fuori dallo schermo. Poi arriva Rock of Ages, a dimostrare la sua ottima forma fisica: al botteghino non va granché, ma Cruise almeno ha fatto vedere di essere uno splendido cinquantenne dello showbiz. Capace di recitare, cantare, ballare. Ma tutto questo […] viene oscurato dall’annuncio della separazione da Katie. E subito i tabloid si scatenano, invocando quello che definiscono il “fattore 33”: l’età di tutte e tre le mogli – la Rogers, la Kidman, la Holmes – al momento dell’addio» (Morgoglione). Superato il nuovo divorzio limitando al minimo le concessioni alla stampa scandalistica, negli ultimi anni la carriera cinematografica di Cruise è proseguita – nella duplice veste di attore e produttore – con pellicole di varia fortuna, alternando discreti successi (Jack Reacher – La prova decisiva, Oblivion) e discreti fiaschi (Jack Reacher – Punto di non ritorno, La mummia, Barry Seal – Una storia americana), e ritrovando gli antichi fasti solo con gli ennesimi capitoli della saga di Mission: Impossible, il quinto (Rogue Nation, 2015) e il sesto (Fallout, 2018), quest’ultimo accolto con particolare favore sia dal pubblico sia dalla critica (soprattutto statunitense). «“Per Tom Cruise più che l’ingaggio è costata la polizza assicurativa!”, esclama il regista di Mission: Impossible – Fallout Christopher McQuarrie. E non sta scherzando: è proprio così. Il sorriso forse è di sollievo: Cruise, in fondo, se l’è cavata appena con una caviglia fratturata. […] Cruise è uno che continua a giocare sul serio, senza tirarsi indietro mai: vola ad altezze vertiginose, s’arrampica, si lancia. E, meno effetti e "avatar" digitali ci sono, meglio è. Continua McQuarrie: “Tom è al comando di questo franchise, è lui a dettare legge: se dice che vuol fare una cosa, non c’è verso: dobbiamo obbedirgli”. […] E così l’eterno ragazzo sfida il Jackie Chan dei tempi d’oro a chi alza di più l’asticella. In Fallout […] vediamo Cruise in cima al comignolo della Tate Modern, con tutta Londra ai suoi piedi. Quindi paracadutarsi sul tetto di vetro del Grand Palais di Parigi e fare cose con un elicottero mai viste prima al cinema (la missione stavolta è mettere al sicuro tre nuclei di plutonio prima che il cattivo di turno e un’organizzazione terroristica colpiscano il Vaticano, Gerusalemme e La Mecca). Azione, inseguimenti e location sono orchestrati magistralmente» (Silvia Bizio). «L’impossibilità di essere James Bond ha generato il “mostro” Ethan Hunt. Le speranze di Tom Cruise di interpretare 007 sono franate a suo tempo contro una dimensione troppo americana e per nulla british. Così è nato, nel 1996, regia di Brian De Palma, il clone di Mission: Impossibile, divenuto cammin facendo la più nobile e plausibile replica all’agente segreto al servizio di Sua Maestà Britannica. Il difetto di fabbrica che Fallout si porta dietro è che Cruise, a 56 anni, trascina il personaggio come se ne avesse 30, sottraendo così una quota sempre più rilevante di credibilità alla saga, intanto arrivata a livelli di poetico entertainment, talmente concentrata e tesa tra azione e spionaggio da far passare in sott’ordine le pecche psicologiche. […] Palestrato, levigato e perfettamente inchiodato alla parte, ma sempre più lontano dalla svolta che la sua carriera di magnifico insider imporrebbe: se non si sbriga, se resterà solo una macchina da cine-combattimento, diventerà una copia pallidina di Stallone e Schwarzenegger e niente più» (Paolo Baldini). Attualmente Cruise è impegnato nelle riprese di Top Gun: Maverick, il seguito del film che lo consacrò nel 1986, la cui distribuzione nelle sale cinematografiche è prevista per giugno 2020 • «Dalla separazione dall’attrice di Dawson’s Creek, datata estate 2012, non si è mai più visto in coppia. E più uniche che rare sono diventate le sue serate mondane o le foto in compagnia dei figli. […] Negli ultimi anni ha trascorso la maggior parte del tempo sul set, vivendo in camere d’albergo. Soprattutto a Londra. Ha avuto qualche flirt, ma mai niente di duraturo, né di stabile. Nemmeno Los Angeles è più la sua città del cuore. Se Katie Holmes e la figlia Suri si sono stabilite a New York, lui ha scelto di vendere la sua dimora di Beverly Hills da 39 milioni di dollari e trasferirsi a Clearwater, in Florida, a un isolato dalla sede centrale della Chiesa di Scientology. Membro di spicco della controversa chiesa dagli anni ’80, è infatti amico intimo del suo leader, David Miscavige. Anche suo figlio Connor si sarebbe trasferito lì. Tom sarebbe vicino anche a Isabella [l’altra figlia adottata, insieme a Connor, con la Kidman – ndr], […] che vive a Londra. Quanto alla figlia più piccola, l’attore non ha mai voluto commentare le voci che li vorrebbero lontani ormai da un paio d’anni. Chi lo conosce bene, però, ne è certo: “Tom ama tutti i suoi figli”» (Stefania Saltalamacchia) • «Credo che tutte le voci sulla sua presunta omosessualità siano nate proprio dai gay, che vorrebbero tanto che lui lo fosse. Così non solo potrebbero vantarsi del fatto che il più famoso sex symbol è come loro, ma potrebbero anche fantasticare sulla possibilità di dargli una strapazzatina, come aveva detto di aver fatto Chad Slater. Ma, quando Cruise ha chiesto al pornodivo 100 milioni di dollari per diffamazione, Chad ha ritrattato piuttosto in fretta. Tom Cruise può essere molto, molto litigioso. Nel 1997 lui e Nicole citarono il tabloid Star per aver affermato che i due avevano bisogno di un “preparatore” sessuale per girare le scene d’amore del film Eyes Wide Shut. E vinsero. Cruise ha anche ottenuto 100 milioni di dollari da una causa contro l’editore Michael Davis. Aveva visto un annuncio sul suo giornale che prometteva 500 mila dollari a chiunque avesse foto o prove di una sua eventuale liaison omosessuale. […] A dirla tutta, è buffo come tutto ciò possa importare a qualcuno, ma è quello che succede quando sei una stella del cinema. Tutta invidia. Il personaggio Tom Cruise è uno schermo perfetto su cui proiettare i propri desideri, le proprie fantasie e, perché no, i propri sospetti. Il vero mistero non riguarda la sua vita sentimentale, ma tutto il suo essere. Non è una star solo perché ha un corpo perfetto, bei denti bianchi o un fascino da ragazzino. Tom è un mix di mistero e potere. Ha detto: “C’è qualcosa di diverso in me, ma non scoprirete mai che cosa”. È questa la sua vera forza. […] Sotto la sua bellezza esteriore da archetipo si nasconde un abisso virtuale colmo di energia e fantasia, dal quale riesce a tirar fuori eroi o poveracci, dèi o mostri» (Glenn O’Brien) • «Ha dimostrato che si può essere belli senza essere alti [misura circa 170 centimetri – ndr], e questa è già una buona prestazione» (Maurizio Cabona) • «Il suo successo resta un mistero, ma forse, alla fine, una perversa logica esiste. Ha sempre dato l’impressione di essere solo un belloccio: in Eyes Wide Shut era più espressivo con la maschera addosso. Poi, però, lo vedi in Magnolia, e scopri che è un bravo attore. Il pubblico ha visto più lontano di tutti» (Irene Bignardi). «Personaggio condannato a essere amato oppure odiato. Portato sugli allori, e scaraventato nella polvere. Oggetto di critiche spesso feroci, per i suoi comportamenti, […] pane quotidiano per giornali e siti di gossip (e non solo). […] Al di là dello stile di vita, ci sono elementi che controbilanciano i difetti: la spontaneità, il modo caloroso di approcciare il pubblico e i giornalisti. E soprattutto, sul piano professionale, la capacità continua di mettersi in gioco. L’umiltà di continuare a studiare sempre per migliorarsi, senza riposare sugli allori di una fama mondiale acquistata in gioventù; e il rischio anche fisico a cui si sottopone per girare i suoi film d’azione» (Morgoglione). «Se si dimenticano tutti i “si dice”, la sua precisa scelta di adesione a Scientology (non è certo il solo: in modo ufficiale o ufficioso, non si contano gli attori di Hollywood aderenti alla congregazione), e se Tom viene considerato solo come attore, non si possono certo dimenticare le sue splendide prove in Magnolia di Paul Thomas Anderson, Nato il 4 luglio di Oliver Stone e in tanti altri film entrati nella storia del cinema» (Giovanna Grassi) • «Mia madre mi ha insegnato che per farti pagare devi lavorare duramente. E che devi farlo sempre meglio di chiunque altro». «Non ho mai fatto un film solo per i soldi, o per compiacere il pubblico. Mai. Mi pagano quello che mi pagano perché lo valgo: ed è giusto che mi paghino tanto, perché questo è il mercato. Ma non ho mai preso una decisione sulla base delle condizioni finanziarie. Tanto è vero che Nato il 4 luglio l’ho fatto gratis, anzi ci ho rimesso. Lo stesso dicasi per Rain Man. Ma erano film in cui credevo». «È una grande lezione che ho imparato girando I ragazzi della 56a strada, con Francis Ford Coppola: avrei fatto solo i film che mi interessavano. Quella decisione mi ha dato un grande senso di sicurezza: non avevo bisogno di soldi, perché non ne avevo mai avuti» • «Non sono il tipo d’attore alla Stanislavskij. Voglio solo comunicare con la gente in scena». «Recitare per me vuol dire soprattutto impossessarmi del punto di vista di un altro. È un enorme puzzle nel quale mi butto per mettere insieme le tessere di una vita, aggiungendovi esperienza personale e cercando di capirci qualcosa. Ma vuol dire anche donare ed essere generosi con i colleghi che lavorano con te». «A chi lavora con me non chiedo più di ciò che do. Quando si gira un film, bisogna saper divertirsi e saper ridere, soprattutto se si è sotto pressione, perché si riflette nella qualità del lavoro. L’ho imparato agli inizi, quando temevo sempre di essere scacciato dal set» • «A chi gli rimprovera di apparire ormai soprattutto come il protagonista delle sue “missioni impossibili”, Cruise risponde: “Sono anche il co-produttore della serie, che è un mio marchio preciso. Prenderò parte ad altri film, […] però sono legatissimo a Mission: Impossible”. […] Davvero lei non vuole mai stuntmen al suo posto, anche nelle sequenze più pericolose? “Gli stuntmen ci sono, per ragioni di leggi e sicurezza della produzione, ma io non li impiego. Mi sentirei defraudato se non potessi avere il controllo di ogni momento che vuole la mia presenza in scena. Sempre è stato così, anche quando non avevo potere sui set. Tutte le riprese sugli elicotteri mi hanno visto alla guida dei velivoli, dato che sono un pilota in possesso di vari brevetti e licenze. In un altro ciak ho subìto un infortunio a una gamba, ma mi sono rimesso in piedi velocemente per restare nel budget del film”» (Grassi). «Mission: Impossible è un giocattolo irresistibile. Allo stesso momento torno bambino, viaggio ovunque nel mondo, vedo posti incredibili, soddisfo la curiosità. E, soprattutto, mi muovo: sono uno che non riesce proprio a stare fermo. Devo fare cose, devo correre. Devo divertirmi su un set quando lavoro. Altrimenti divento isterico, irritabile, insopportabile. Devo fare sempre qualcosa che mi permetta di andare a 200 all’ora. La velocità è la mia droga. In verità, sono io a costringere Ethan a fare quelle cose pazzesche! […] Vorrei poter continuare tutta la vita» • «Ci sono volte in cui mi sento quasi imbarazzato, pensando a tutto quello che ho. E non intendo tanto il mio successo nella carriera di attore e come produttore. Una volta, un giornalista, osservando i miei giocattoli parcheggiati in un hangar dell’aeroporto di Santa Monica – tra gli altri, un jet Gulfstream da 40 milioni di dollari che ho fatto arredare da Gucci e un caccia della Seconda guerra mondiale –, mi ha chiesto: “Ma lei non si sente mai in colpa, avendo tutto?”. E poi ha aggiunto: “Quel fisico! Una carriera fortunata. La fama. Il benessere…”. Ma si dimenticò di nominare ciò che ho di più importante, che viene prima di tutto il resto e da cui, anzi, sono convinto che tutto il resto discenda: la fede».