la Repubblica, 2 luglio 2019
Lo Cascio fa Pirandello
Luigi Lo Cascio è nato a Palermo.
A voce bassa, sobrio, compunto, Luigi Lo Cascio ammette con leggerezza che è molto contento di come è andata con Il traditore, il bel film di Marco Bellocchio appena premiato con ben sette Nastri d’argento (a Lo Cascio quello come miglior attore non protagonista, ex aequo con Fabrizio Ferracane). La scena in cui il suo Totuccio Contorno, l’amico di Buscetta, in tribunale, accusa in siciliano stretto Riina e gli altri è stata per tutti un prodigio di bravura. «E pensare che ho pure fatto il provino per averla. Bellocchio è un regista attento, segue da cosa parte un attore per diventare qualcos’altro. Mi diceva “ti voglio nel film ma per Contorno mi sembri troppo borghese. Mi ha messo alla prova. Ed è andata». Adesso l’attore palermitano, 51 anni, protagonista di tanto cinema d’autore e di teatro, romanziere di scrittura cristallina ( Ogni ricordo un fiore, Feltrinelli), si gode un supplemento di vitalità: a metà luglio c’è l’uscita del nuovo film, Il mangiatore di pietre di Nicola Bellucci, c’è la tournée teatrale di Il sistema periodico di Primo Levi che arriverà al Franco Parenti di Milano e al Teatro Argentina a Roma, e poi in autunno il Dracula con Sergio Rubini. Ma prima, il 5 luglio, c’è una serata speciale per la 38esima edizione delle Orestiadi di Gibellina, il festival siciliano che sotto la direzione di Alfio Scuderi e fino al 31 agosto sta ritrovando slancio con artisti come Marco Baliani, Roy Paci, Ninni Bruschetta, Marco Paolini, Chiara Lagani e Fiorenza Menni, Rocco Papaleo. Lo Cascio leggerà una delle più delicate novelle di Pirandello, Ciaula scopre la luna, nel Baglio grande, sotto la Montagna di sale di Mimmo Paladino, segno di quanta sensibilità abbia verso la “sua” Sicilia. Il dialetto siciliano lo conosce davvero così bene come nel film di Bellocchio? «Ma quello non è nemmeno siciliano, è il palermitano dei quartieri popolari, suoni in cui ti immergi nei mercati, a Ballarò, alla Vucciria. Io lo sentivo da mio zio Gigi Maria Burruano, mio papà ne I cento passi, quando la domenica andavamo a vederlo al cabaret palermitano, ma l’avevo già imparato alle medie perché nella mia scuola non c’era la palestra e facevamo educazione fisica a piazza Magione dove c’è il complesso dello Spasimo e i compagni erano tutti della Kalza, famiglie popolari». E la sua famiglia? «Mio padre chimico, mia mamma insegnante. Borghesia istruita più che ricca. Con cinque figli hanno fatto sacrifici per mantenermi a Roma negli anni dell’Accademia. Devo a loro e alla fortuna quel che sono oggi, perché se non fosse arrivato I cento passi, ero come tanti attori che non hanno avuto l’occasione di mostrare le proprie capacità. Peppino Impastato è un personaggio gigante. E siccome quel film passa molto in tv, in tanti mi parlano ancora di come li ha colpiti. A me ha cambiato la vita, in tutti i sensi». Come è andata con “Il mangiatore di pietre” girato in alta montagna? «Sono felice intanto di essere sopravvissuto. Non scherzo. Abbiamo girato a meno 20 in Val Varaita, di notte senza cappello con la giacca aperta... È un giallo, io sono Cesare, un solitario e scorbutico che si è ritirato nella montagna diventando lui stesso un pezzo di montagna, duro come la roccia ma che alla fine farà un gesto importante di salvezza per gli altri. Mi è piaciuta la sua dimensione di solitudine, la lontananza dal mondo. Ora che ho la patente di scrittore, posso dire che sia simile alla condizione di chi scrive». Lei come ci sta in quella condizione? «Bene. Adesso sto scrivendo la sceneggiatura del mio secondo film da regista. Degli scrittori mi piace la curiosità e i miei prediletti, a parte Kafka, sono i siciliani del Novecento, Bufalino, Vittorini, Ripellino, Stefano D’Arrigo e, su tutti, Pirandello che mi piacerebbe rifare a teatro. Ha scritto meglio qualcosa che è dei siciliani: la maschera, la contraddizione, l’ossessione, i contrasti, la rappresentazione continua, l’amore per il teatro e l’umorismo. Ciaula, per esempio, è un racconto delicato e la scrittura è di bellezza e umanità rara. Mi piacciono gli scrittori che si pongono il problema della lingua, che sanno dire le cose in modo nuovo e fanno progredire la riflessione di tutti».