La Stampa, 1 luglio 2019
Un terzo dei risparmi è fermo in banca
Un terzo della ricchezza degli italiani è fermo. O meglio, parcheggiato. In conti correnti e conti deposito, per la precisione. Dei 4,287 miliardi di euro di ricchezza finanziaria, 1,371 non sono allocati in alcun tipo di investimento. Un fenomeno non nuovo, avverte la Banca d’Italia, ma che sta diventando un caso interessante per gestori e operatori finanziari. Perché, invero, le opportunità per ottenere ritorni di un certo rilievo, con rischi contenuti, non mancano.
Sta diventando un dilemma per molti. Come allocare risorse finanziarie finora tenute immobilizzate nei conti correnti in un’epoca storica così particolare per la politica monetaria europea? Da un lato c’è la cristallizzazione del mercato obbligazionario dovuta alle azioni della Banca centrale europea (Bce) guidata da Mario Draghi. Dall’altro c’è un diffuso clima d’incertezza globale, a causa delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, della Brexit e del rapporto turbolento tra Commissione europea e governo italiano, che potrebbe sfociare nell’apertura di una procedura d’infrazione per deficit eccessivo. Il risultato è che, secondo i dati dell’Associazione bancaria italiana (Abi), solo nel 2018 i depositi della clientela privata residente nel Paese sono cresciuti di 32 miliardi di euro su base annua. In pratica, una somma analoga all’ultima legge di bilancio.
Legittimo è quindi chiedersi perché così tanti soldi sono fermi. Come spiega Alessandro Tentori, capo degli investimenti di Axa Italia, le variabili sono diverse. «La prima è il profilo di rischio di un investitore cioè il valore soggettivo che ciascuno dà al rischio legato all’investimento. La seconda variabile è l’età, perché una persona matura avrà un approccio diverso all’investimento rispetto a una più giovane. Infine, la scelta dipende anche da fattori squisitamente economici come i tassi di interesse reali, ossia quelli che tengono conto dell’inflazione». Il problema maggiore arriva quando un risparmiatore deve decidere quanta liquidità dovrebbe detenere in portafoglio per avere un giusto bilanciamento. Secondo Tentori «la liquidità nei fondi d’investimento in genere varia dal 5% al 7%, dipende dalle situazioni. Per gli investitori privati la percentuale di liquidità può essere maggiore, ma anche in questo caso dipende dal profilo di rischio e dagli obiettivi personali». Ciò significa che è possibile anche salire fino al 10-15%, utilizzando fondi di liquidità o pronti contro termine a breve scadenza, ovvero non superiore a due anni.
Le soluzioni per limitare questo fenomeno, tipico in Italia e in Germania, non sono poche. E una delle più ghiotte riguarda uno dei mercati finanziari più nuovi e innovativi. Vale a dire, quello degli investimenti sostenibili. Il mercato cosiddetto Esg (acronimo inglese per Environment, Social & Governance, ovvero ambiente, impatto sociale e gestione manageriale) continua a crescere senza sosta dalla primavera dello scorso anno. E, secondo le ultime analisi di primarie banche d’investimento come Goldman Sachs o Bnp Paribas, è destinato a diventare sempre più grande nei prossimi anni. Secondo l’istituto di credito olandese Rabobank, infatti, questo settore – che comprende investimenti in campi eolici o parchi solari o tutto ciò che può limitare l’influenza dell’uomo sul cambiamento climatico – potrebbe crescere del 200% rispetto a oggi. In tal senso, prendere un’esposizione tramite prodotti finanziari come gli Exchange traded fund, o Etf, i fondi negoziabili come titoli azionari. Da inizio anno, anche grazie alla giovane attivista svedese Greta Thunberg, questo settore ha realizzato una crescita media del 22 per cento. E secondo la Global sustainable investment alliance (Gsia), la lobby del segmento, nel 2018 il mercato in questione ha toccato quota 30mila miliardi di dollari a livello globale. Un numero che è destinato a salire ancora nel prossimo decennio.