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 2019  luglio 01 Lunedì calendario

L’appello in versi di Sandro Veronesi

Io spero 
che sugli stradoni assolati 
con i pini piantati da poco 
tenuti in piedi dai tutori 
e già aggrediti dal parassita, 
spero che la gente si accorga, 
cominciando proprio da lì, 
da quegli stradoni, 
e dai piazzali 
con il capolinea dell’autobus, 
assolati anch’essi, 
e dai parcheggi scambiatori, già, 
i parcheggi scambiatori, 
assolati e desolati, 
deserti, 
perché la gente in Italia non fa mai 
quello che dice l’urbanista, 
e dunque i parcheggi scambiatori non 
funzionano 
(ma come? In Danimarca sì, 
in Olanda, in Francia, in Estonia sì, 
e in Italia no?), 
io spero 
che la gente si accorga 
a cominciare proprio da questi non 
-luoghi, 
stradoni, piazzali, parcheggi scambiatori, 
intitolati tra l’altro, tutti, sempre, 
ai grandissimi del Novecento, 
Marie Curie, Luigi Einaudi, Pasolini, 
dato che le strade belle, nei bei quartieri 
sono già tutte prese, intitolate 
alle mezze cartucce dell’Ottocento, 
filologi, cardinali, scrittori minori, 
soprattutto se patrioti, 
(ma come? Mezza cartuccia Barrili? 
Durini? Il Generale Diaz? Cesare Abba? 
Mezza cartuccia Salvini? 
Tommaso, attenzione: 
mezza cartuccia Tommaso Salvini? 
Attore, garibaldino, patriota, 
amico di Saffi, Dall’Ongaro, Modena, 
apprezzato da Stanislavskij? 
Mezza cartuccia lui? 
Sì. 
Mi dispiace tanto 
ma in confronto a Pasolini 
Tommaso Salvini è una mezza cartuccia, 
e andate a vedere dove sta via Pasolini, 
nelle città d’Italia, 
via Pier Paolo Pasolini, 
a Milano, uno stradone a zigzag 
tra le sterpaglie di Pero, 
vicino al Cimitero Maggiore, 
a Roma uno stradone con tornanti 
e piazzale per i cassonetti 
tra i campi riarsi e i palazzi fatti male 
oltre Sant’Onofrio, in culo alla Trionfale, 
a Napoli una strada a L senza sfondo, 
attufata nel quartiere Pianura, 
oltre Soccavo, Agnano, Fuorigrotta, 
molto lontano dal mare, 
a Bari uno stradone ad anello 
perso tra svincoli e cavalcavia, 
assediato dai rovi, nel rombo 
del vicino aeroporto, 
a Torino neanche c’è – c’è a Chieri — 
a Firenze neanche c’è – c’è a Campi 
Bisenzio — 
a Bologna, attenzione, dove è nato, 
neanche c’è, 
c’è, sì, una Piazzetta Pier Paolo Pasolini 
nel complesso del Dams e della Cineteca, 
uno spazio pubblico protetto, certo, 
dove fanno aggregazione, cinema 
all’aperto, 
ma io parlo proprio di toponomastica 
comunale, 
di fabbricati, residenze, numeri civici, 
e a Bologna, sì, la rossa Bologna, 
dove la gente abita in via Salvini, via 
Modena, via Saffi, 
nessuno vive in via Pier Paolo Pasolini 
anche se in confronto a lui 
sono tutte mezze cartucce), 
io spero, dicevo, 
che la gente si accorga 
mentre cammina per quegli stradoni 
con i pini appena piantati, 
tenuti in piedi dai tutori, 
e già aggrediti dal parassita, 
cioè la cocciniglia del pinus pinaster, 
il Matsucoccus Feytaudi, 
insetto succhiatore di linfa vegetale, 
originario del Marocco e migrato fino 
a noi, 
attraverso il Portogallo, la Spagna e 
la Francia, 
— lui sì, ma il suo antagonista no, 
l’antagonista è rimasto in Marocco, 
ragion per cui può agire incontrastato 
e lo fa, scorrettamente, 
poiché dovrebbe colpire solo le piante 
vetuste, 
stressate, e invece le attacca tutte, 
anche quelle giovani, 
anche quelle appena nate, 
e i nostri pini muoiono 
e le nostre pinete scompaiono, 
e le nostre coste cambiano aspetto, 
per colpa dell’insetto migrante, 
e però l’immigrazione che contrastiamo 
coprendoci di disonore, 
non è quella degli insetti 
è quella di uomini e donne, 
che deridiamo, umiliamo, insultiamo, 
incolpiamo, multiamo, sfruttiamo, 
respingiamo, lasciamo affogare, 
e Dio ci aiuti, davvero 
e abbia pietà di noi, 
il giorno in cui s’incazzeranno, 
per ora siamo noi che odiamo loro 
ma arriverà il giorno, dai e dai, 
in cui saranno loro a odiare noi — 
io spero, dicevo, 
che nei luoghi suddetti, 
desolati, marginali, 
stradoni, parcheggi, piazzali 
dove l’unica grazia è un ragazzo 
— guardalo — 
che fa evoluzioni con lo skateboard, 
io spero che lì, innanzitutto, 
e poi via via dappertutto, 
ma cominciando da lì, 
io spero che la gente si accorga, 
vagando per quel nulla, 
vivendo in quell’oblio 
intitolato prevalentemente a Pasolini, 
e agli altri grandi del secolo scorso 
detto secolo breve 
— prima la catastrofe, poi l’oro, poi la 
frana —, 
la gente anonima, 
che una volta era innocente, e poteva 
lamentarsi 
ma ora non lo è più, e non può più, 
che si sente sempre vittima di qualcosa 
— e lo è, questo è vero, questo nessuno 
lo nega — 
e tuttavia, ormai, dopo il secolo breve, 
è anche colpevole, è entrambe le cose 
vittima e colpevole, 
come tutti, 
come me, 
e soffre perché non può dire «negro», 
«paralitico»,«mongoloide», 
«subnormale», 
e soffre perché qualcuno prega un altro 
Dio, 
e soffre perché un uomo sposa un uomo 
e una donna una donna, 
e soffre perché qualcuno viene da lontano 
per restare, 
soffre e ha paura di non esistere più, 
e la sua paura viene nutrita, rimpinzata, 
ingigantita, 
disinformata, strumentalizzata, sfruttata, 
e allora odia i negri, 
i paralitici, i mongoloidi, i subnormali, 
i musulmani, gli zingari, i froci, 
le lesbiche, i transessuali, gli intellettuali, 
e soprattutto odia quelli che vengono 
da lontano, 
furiosamente, odia loro e chi li accoglie, 
ecco, io spero, 
e lo spero davvero con tutto me stesso, 
che si accorga, questa gente, 
di avere torto, 
e spero che l’asfalto di quegli stradoni 
lo assorba, 
quel torto, 
come assorbe uno sputo, 
e che quella gente si salvi, e cominci, salva, 
a salvare il mondo, 
partendo da questi non-luoghi, 
e poi via via in tutti gli altri, 
salvarsi tutti, tutti insieme, 
salvare tutti, 
in terra e in mare, dappertutto, 
risolvendo tutto, 
salvare e saltare, 
fino a far vibrare la terra 
fino a curvare il tempo, 
saltare cent’anni, 
come dice la canzone, 
— ma tutti, però, tutti insieme, e in avanti, 
senza che resti indietro nessuno — 
saltare cent’anni, dicevo, io spero, 
in un giorno solo.