La Stampa, 1 luglio 2019
La pensione costa almeno 68 euro a settimana
Le persone che lavorano per l’intero anno e guadagnano retribuzioni modeste hanno, come conseguenza matematica, una pensione di importo modesto.
A tutto ciò si aggiunge un’ulteriore preoccupazione: se non si rispetta il cosiddetto «minimale» di retribuzione, non si riesce neanche ad avere l’assicurazione per l’intero anno. Questo ostacolo è stato introdotto dalla legge per evitare che con versamenti quasi inesistenti si riesca ad avere una cospicua anzianità contributiva.
È un fatto risaputo che i contributi sono calcolati sul salario effettivamente riscosso. Ma ai fini della pensione è necessario che questo salario sia di un importo minimo settimanale, che viene fissato ogni anno.
E questo minimo talvolta diventa una barriera che ostacola il cammino verso la pensione per le persone che svolgono lavori precari, oppure con bassi compensi, oppure per poche ore al giorno. È un minimo che per molti purtroppo è vissuto come un massimo, una soglia non facilmente raggiungibile.
La misura valida è per legge pari almeno al 40 per cento della pensione minima Inps e quindi nel 2018 è di almeno 205,20 euro a settimana e nell’anno di 10.670,40 euro.
In pratica per un lavoratore dipendente del settore privato devono essere versati all’Inps contributi (aliquota del 33% suddivisa tra azienda e diretto interessato) pari a quasi 68 euro alla settimana e 3.520 euro nell’anno. Perciò se la persona lavora, ad esempio, solo nove mesi nell’intero anno dovrà versare all’Inps il minimo di 2.640 euro.
Se si rispettano queste cifre minime si ha diritto ad essere assicurati per tutte e cinquantadue le settimane. E se qualche settimana registra salari inferiori ai minimi sopra indicati non fa nulla, a condizione però che nell’anno sia raggiunta la soglia di 10.670,40 euro.
In questo caso vengono riconosciute le cinquantadue settimane.
Ma se si guadagna di meno, e perciò si paga di meno, gli uffici riducono in proporzione il periodo utile a pensione. proporzionale al versato.
Supponiamo che la persona versi i contributi su una retribuzione lorda annua di 8.210 euro. Gli uffici dividono il salario realmente guadagnato e sul quale sono stati pagati i contributi per la cifra settimanale fissa.
Il risultato di questa divisione è che il salario dell’interessato copre solo 40 volte il reddito minimo settimanale. E perciò gli uffici riconoscono in pensione solo 40 settimane. Con il risultato che la persona ha lavorato 12 mesi, ha fatto versamenti per 12 mesi, ma ne perde quasi 3 ai fini della pensione. Conclusione? Resta scoperto di contributi il periodo gennaio-marzo.