La Stampa, 1 luglio 2019
Le concertiste mettono la minigonna
Anziano e assiduo frequentatore di sale da concerto, da tanti anni mio vicino di posto, prometti che sarai sincero. Perché sei venuto questa sera? Vuoi davvero ascoltare per l’ennesima volta il Concerto di Rachmaninov o ti hanno attratto come una calamita troppo potente perfino per i tuoi sensi un po’assopiti, la schiena nuda, le gonne corte, le gambe lunghe, lo spacco a tutta coscia di Yuya Wang?
Le nuove icone fashion
Cinese, 32 anni, pianista, strega il pubblico con mani che volano e abiti che scoprono. E ti piace lo Chopin di Lola Astanova? Nata in Uzbekistan, oggi cittadina americana, 33 anni, dice di non sopportare le colleghe vestite male, che le piace essere fashion e per questo arriva in scena fasciata in calzoni di pelle, un corpetto che le esalta il seno, trucco diciamo più che accennato? Il suo charme non è sfuggito a Vogue, che le ha dedicato un servizio, mentre la rivista Limelight la considera tra le top 10 icone della musica classica. Avevi mai pensato che avessimo bisogno, perché si parli ancora della musica che amiamo, di icone fashion? E non ti puoi non ricordare di quando siamo andati a sentire Khatia Buniatishvili, giorgiana, 31 anni. Eravamo così curiosi di ascoltarla nei Quadri di un’esposizione di Mussorgskij - quando i musicisti russi suonano i compositori russi possono anche sconvolgerti - che ci siamo intrufolati alle prove: lei castigatissima, maglia e pantaloni. Passa un’ora ed eccola entrare in scena, in un vestito rosso fuoco molto scollato fronte/retro, magnifico contrasto col nero dei capelli e del pianoforte. La violinista Anne Sophie Mutter che trent’anni fa ha per prima scoperto le spalle, così ben tornite, durante un concerto, oggi appare spregiudicata come una monaca di clausura.
Contro la crisi dei biglietti
Martha Argerich, che non si è mai preoccupata di apparire glamour, è stata e rimane pianista travolgente, sempre bella, sempre se stessa, con i suoi lunghi capelli lisci o azzuffati, neri o bianchi che siano. Ma i tempi cambiano, bisogna trovare nuovo pubblico per evitare la crisi di biglietti e abbonamenti e oggi ai concerti si va forse ancora con le orecchie ma sicuramente con gli occhi. Se ti fermi a guardare le copertine dei cd, dei dvd, le home page delle maggiori etichette di classica hai un senso di smarrimento e passa qualche attimo prima di convincerti che non sei entrato in un’ officina di auto/moto/riparazioni o nella cabina di guida di un camionista. Perfino l’austera Deutsche Grammophon si è adeguata e, nella gallery del suo sito, le belle ragazze si alternano come sfogliando le pagine di una rivista di moda. Anche negli anni di metoo, la strategia d’attacco commerciale rimane sempre quella, la merce è merce e la devi vendere, soprattutto quando andare in negozio a comprare un disco è un atto semi-eroico, considerato che in un modo o nell’altro, piratesco o legale, puoi trovare quasi tutto nei siti internet. L’offerta è molto differenziata.
Beethoven nelle periferie
Alla pianista con spacco in primo piano si accosta la collega romantica-intellettuale. A che cosa sta pensando Alice Sara Ott, trentenne tedesca-giapponese, in quell’ impermeabile azzurro bagnato come i suoi lunghi capelli neri, lungo i docks di qualche piovosa città del nord Europa mentre sullo sfondo, sfuocato, distingui il suo pianoforte gran coda? Si è presa sulle spalle la faticosa missione di portare Beethoven nelle periferie post-industriali perché anche i proletari con pochi diritti nostri contemporanei possano ascoltare la sua tensione verso l’assoluto e una società di uomini liberi ed eguali? Ed è la stessa Alice Sara Ott che, nella foto successiva, è seduta sul pianoforte, avvolta da un gran velo di tulle che le fa da gonna?
Ed è ancora lei in canottiera bianca e camicetta sbottonata sui jeans, ai margini di un bosco, assorta, evidentemente preoccupata per il surriscaldamento globale che minaccia le grandi foreste e che, se non fraintendo il messaggio, era già stato previsto da Caikovskij. Meravigliosa, femminile capacità di metamorfosi.
La risposta maschile
Di fronte a tanto irraggiungibile splendore, i maschi possono opporre nient’altro che il ciuffo di peli sul petto, l’occhio nero dardeggiante, la barba corta del tenore Jonas Kaufmann, le spalle larghe e il sorriso rassicurante del clarinettista Andreas Ottensamer, i lunghi capelli ricci di Simon Ghraichy, pianista francese di origini libanesi e messicane, quasi un Jimi Hendrix, ma troppo costruito per essere credibile, della classica del XXI secolo. Le migliori musiciste italiane, come Francesca Dego, violinista, 30 anni a marzo, forse non hanno ancora trovato la quadratura del cerchio tra talento, agenzia discografica, fotografo e stilista. O sembrano non curarsene, come la pianista Beatrice Rana, così credibile nel concerto di Brahms e in quello recentissimo di Carlo Boccadoro, solista e camerista, una volontà di ferro che l’ha portata a fondare un nuovo festival, Classiche forme, nella sua Copertino, provincia di Lecce, dove è nata 26 anni fa.
Battaglia in conservatorio
A Lecce, giusto un secolo fa, nasceva Lya De Barberiis. Le dispute in famiglia perché le fosse permesso di diventare pianista, l’esclusione dalla classe di composizione del Conservatorio perché si riteneva inammissibile che una donna potesse diventare compositrice, il coraggio artistico nel suonare tante prime esecuzioni assolute dei musicisti suoi contemporanei. Commendatore della Repubblica, Medaglia d’oro del Ministero della Pubblica Istruzione per l’attività didattica, è difficile immaginarla in minigonna o senza reggiseno, e non era un capolavoro di simpatia. Ma le vere battaglie, lei le ha combattute, mentre altre ne rimangono: se le studentesse nei Conservatori di musica sono ormai oltre il 50% degli iscritti, nelle orchestre professioniste la percentuale di donne è largamente inferiore alla metà degli organici.