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 2019  luglio 01 Lunedì calendario

Intervista a Denis Shapovalov

Ricorda tanto Borg con quei suoi capelli biondi. Ma, in campo, ecco il déjà vu di McEnroe mancino. Il fato ha voluto divertirsi, e dunque Denis Shapovalov — canadese, nulla a che fare con i due grandi rivali — non poteva che essere destinato al tennis. Non passa inosservato quando attraversa i cancelli dell’All England Club, sui cui campi ha già vinto, questo ragazzo del ’99: Wimbledon jr nel 2016. Oggi ha 20 anni e un suo mondo da raccontare. «Sono al terzo anno fra i grandi, ho imparato molto su di me, su come posso giocare meglio. Perché i primi tempi sperimenti: quali tornei ti piacciono, dove giochi e ti senti bene. Cosa mangiare prima delle partite, quanti tornei giocare prima di esaurire le batterie».
E nello specifico cosa ha appreso?
«Che quattro settimane di tornei sono l’ideale. Dopo mi sento svuotato. Perché sono un giocatore potente, mi sento come se bruciassi più veloce degli altri. Sarà perché sono un tipo, come dire, bollente: ho bisogno di sprazzi di riposo per rigenerarmi».
Sarà anche per questo che piace al pubblico giovanile?
«I fan sono incredibili. Anche quando sono eccessivi: ti mostrano quanta passione hanno. Cose come urlare il mio nome, sentirlo cantare sul campo. È così incredibile da vedere. Oppure: ‘Hey hey Shapo, posso avere una foto?’ . È davvero una bella sensazione».
Cose che a Wimbledon non accadranno, però.
«Sull’erba non si fa casino. Invece a Roma sì. Ma anche a New York, quando sei in campo c’è sempre un ronzio costante, gente che parla. In realtà non mi dispiace. A causa di quel rumore costante mi concentro di più sulla palla. Amo l’energia. È come se i fan giocassero ogni singolo punto con me».
Però ha tagliato i capelli, un colpo basso per i fan.
«Ah, ah, ah… ma no, è solo un cambio di stile. Volevo provare qualcosa di diverso. M’ero stufato di passare come il ragazzo dai capelli lunghi. Volevo vedere come andava con i capelli corti. E poi: se devo piacere deve essere per la mia personalità, per quello che sono, non per i capelli. Insomma, volevo provare qualcosa di nuovo. Volevo vedere una reazione, cosa pensavano i fan».
E cosa pensano?
«La cosa divertente è che è finita pari, fifty/fifty. E così ora non so cosa fare, sono nel mezzo e non riesco a prendere una decisione. Ma la verità è che le stesse cose alla fine mi annoiano, è questa la mia personalità».
Carattere canadese. Oppure no?
«Assolutamente sì. E sono contento di non essere l’unico, felice che ci sia anche Felix Auger-Aliassime. Abbiamo dimostrato che il Canada non è solo hockey, hockey, hockey.
Oh, non fraintendetemi: amo l’hockey, adoro i Toronto Maple Leafs. Ma è bello vedere che ora le persone pensano qualcosa tipo: ‘ Oh, ora puoi giocare a tennis anche in Canada’. E andiamo».
Lei è nato a Tel Aviv e i suoi genitori sono di origine russa.
«La storia del Canada è piena di figli di immigrati. Dei canadesi tutti dicono che sono gentili, amichevoli. Penso che lo siamo perché tutti veniamo da qualche parte. Quindi ci accettiamo, è nella nostra mentalità. Anzi, siamo curiosi di sapere gli altri da dove vengono, siamo aperti a sentire storie, viaggi, percorsi e famiglie diverse. Tutta questa cosa, fatta come una nazione, è incredibile. E giochiamo tutti per lo stesso Paese e siamo orgogliosi di farlo. È una storia incredibile, secondo me».
Come la sua sensibilità ambientalista e animalista.
«Viviamo su questa terra. Io amo gli animali. Penso dovremmo cambiare certe abitudini, anche nel tennis: per esempio, a Miami usano borse riutilizzabili. Ecco, questi sono i posti da cui iniziare: i sacchetti di plastica che usiamo in altri tornei sono completamente inutili. Perché non restituirli in modo che possano usarli gli altri giocatori? È un tale spreco di plastica. E le palle da tennis? Ricicliamole, mettiamole su fondi di sedie. E le bottiglie d’acqua, quante ne sprechiamo ogni settimana, è ridicolo. Le soluzioni ci sono, se c’è volontà…».
Torniamo a lei? Il suo stile di gioco è così anomalo.
«Mah, me lo dicono spesso che somiglio a Mac. Ma il mio rovescio a una mano l’ho modellato pensando a Roger. Ma Federer è così fluido, impossibile da replicare. E la mia tecnica è diversa: mi sento più un Nadal. Sono mancino, cerco di essere aggressivo come lui.
Insomma, ho sicuramente un mix di tutti. Ma sento di avere un mio personale stile di tennis».
In fondo ha solo vent’anni: la maturità può attendere. La sua è l’età delle trasgressioni…
«E non se ne contano. Certo, ci sono un sacco di cose che, potessi tornare indietro, proverei a cambiare. Poi penso che sono anche quelle che mi hanno fatto diventare quello che sono oggi, e forse non sarei lo stesso. Come si dice? Sbagliando s’impara…».