la Repubblica, 1 luglio 2019
La polemica Serra-Montanari
Twitter, 16 giugno
Si può dire che il #maestro Scespirelli era un insopportabile mediocre, al cinema inguardabile? E che fanno senso gli alti lai della Firenzina, genuflessa in lutto o in orbace, ai piedi suoi e dell’orrenda Oriana? Dio l’abbia in gloria, con Portesante e quel che ne consegue. Amen
la Repubblica, 29 giugno
Uno: il lavoro registico di Zeffirelli non mi piaceva. Mi è sempre parso buono per un pubblico di bocca buona, attratto dagli effettoni, dalle dorature, dal risaputo, insomma dal “facile”. Due: considero non solo lecito, ma anche giusto che Firenze, la sua città, gli abbia reso pubblico omaggio, perché è stato un suo figlio importante, nonché un artista molto amato e molto noto nel mondo.
Mi domando se le affermazioni “uno” e “due” siano ancora compatibili, in questo nervosissimo Paese, oppure no. Ovvero, se è possibile che la critica abbia il suo sacrosanto spazio senza che il conformismo celebrativo (il Potere, se vi piace la retorica) se ne senta leso; e d’altra parte si possa celebrare un morto importante senza che i suoi avversatori lo considerino un oltraggio di Stato ai danni delle libere e indomite minoranze.
La recente sortita di Tomaso Montanari versus Zeffirelli, e la immediata replica a base di insulti e minacce, sono la dimostrazione, anzi la conferma, che no, “uno” e “due” non sono compatibili. La compunzione attorno all’illustre morto non prevede e non sopporta che qualcuno, per suo conto, dica male della sua opera: accadde già per Agnelli e per Marchionne. Nel frattempo il dissidente, giù in strada, non si limita a non mandare i fiori. Non sopporta che altri li mandino.
Levati i pochi e conclamati casi nei quali il calendario delle celebrazioni richiede un fermo ostracismo (non esiste piazza Hitler, non la giornata di Belzebù), la convivenza richiede un sistematico esercizio di rispetto. La tolleranza, tra tutte le virtù, è la più banale da tirare in ballo, ma anche la più difficile da esercitare. Non mi piaceva Zeffirelli, considero ovvio che Firenze l’abbia celebrato: è così strano? Così difficile?
la Repubblica, 1° luglio
Caro direttore,
ieri Michele Serra ha stabilito un’equazione: la mia dura (quanto inerme) critica alle pubbliche onoranze fiorentine rese a Zeffirelli varrebbe quanto la canea di insulti che essa mi ha provocato, culminata nelle minacce del ministro Matteo Salvini, il quale mi ha ingiunto di abbandonare l’insegnamento (forse medita di tornare al giuramento di fedeltà dei professori al regime). Saremmo di fronte a due facce della stessa medaglia, quella dell’intolleranza.
Come chiunque può leggere sul sito di MicroMega, ho attaccato non il cordoglio privato verso un regista (mediocre), ma la santificazione civile (avvenuta nei massimi spazi pubblici della mia città, Firenze) di un uomo che aveva proposto la pena di morte per le donne che abortiscono e per «quelli che spostano i negri» (sic), parlando di «parte buona del fascismo». L’edificio monumentale pubblico più importante di Firenze tra quelli disponibili è stato consegnato gratuitamente alla Fondazione Zeffirelli, presieduta da Gianni Letta: è intollerante dire che lo ritengo vergognoso?
Mi ero chiesto se il nero era quello del lutto o dell’orbace, ricordando la parallela riabilitazione di Oriana Fallaci (cui Zeffirelli era legatissimo), perseguita per razzismo in Francia e in Svizzera. La Fallaci dichiarò di voler mettere una bomba in una moschea eventualmente costruita in Toscana, e sosteneva la dottrina della «sostituzione del popolo cristiano in Europa»: quella oggi di Bannon e Salvini, ma anche del terrorista Tarrant, che quella bomba l’ha messa davvero. Averle dedicato una piazza a Firenze è, per me, imperdonabile.
Posso dirlo, senza essere accusato di intolleranza? Credo che l’abbandono di ogni pensiero critico a sinistra sia una delle ragioni per cui oggi ci troviamo a fare i conti con un’egemonia culturale di destra in cui nessuno contesta la consacrazione civica di Zeffirelli e Fallaci.
la Repubblica, 1° luglio
Caro Tomaso Montanari,
«l’abbandono di ogni pensiero critico a sinistra» non è un problema che mi riguarda. In generale, così come nel caso specifico. In opposizione alle parole e alle opere di Zeffirelli e Fallaci ho avuto facoltà, negli anni, di esprimermi in molte circostanze e in molte maniere, non ultima la maniera satirica.
Se vuoi faccio un copia e incolla e te lo mando. Posso semmai autoaccusarmi – quanto a pensiero critico – di sovrapproduzione, ed è la stessa accusa che sento, sempre semmai, di poter muovere a questo giornale e addirittura «alla sinistra» in generale, per quanto vago sia ormai il perimetro che la indica. Sovrapproduzione di pensiero critico significa che da circa mezzo secolo diciamo quello che non ci piace, a costo di molte ripetizioni e dell’omissione secondo me più rilevante, che è non riuscire a dire meglio, e più serenamente, quello che ci piace. Nell’arte di dire ciò che non ci piace (ciò che non siamo, che non vogliamo), pur essendo parecchio più giovane di me tu sei diventato un maestro indiscusso. Io sto cercando, da quasi anziano, forse perché un po’ stufo di me stesso, di fare qualche passo più in là (o di lato, non saprei dire) cercando di arrivare a dire almeno ogni tanto, prima che sia troppo tardi, che cosa mi piace: della vita e delle persone. Sarebbe bello poter contare sul tuo aiuto, ma non ci spero troppo.
Quanto alla differenza tra il tuo veemente tweet, che almeno era in ottimo italiano, e il volgare linciaggio (social e non social) che ne è seguito, ho sbagliato a considerarla scontata; ma i lettori sono intelligenti e avranno capito ugualmente che la mia intenzione non era certo equipararli. Non aspettarti troppo, comunque, dalla cosiddetta comunità mediatica. Quando, un paio d’anni fa, fu il mio turno di linciaggio, per giunta, a differenza di quanto è capitato a te, a causa di qualcosa che NON avevo detto, a intervenire pubblicamente in mia difesa furono in pochissimi. Tra i meno solleciti, quelli della "sinistra critica", compresi alcuni ex "cari amici", che anzi aggiunsero il loro carico di sberle. Vedi come si è soli, certe volte. Soli con le proprie parole.