la Repubblica, 1 luglio 2019
Università, tutto esaurito
L’università italiana scoppia. Cresce, ma poi deve stipare i ragazzi nelle aule. Riceve nuove matricole, ma si spaventa della sua stessa capacità d’attrazione. E così, per non allargarsi troppo – no, il sistema non ha le risorse – limita i suoi corsi migliori, ne programma i numeri, lascia fuori molti ragazzi appena diplomati. Troppi.
Per il quinto anno consecutivo “Repubblica” ha chiesto ai 61 atenei pubblici e statali del Paese i dati sulle singole immatricolazioni: è l’ingresso in ateneo dei post-diplomati (ai corsi di laurea triennali e magistrali a ciclo unico). La risposta singola (all’appello manca solo un ateneo) e collettiva è stata: quelli che varcano per la prima volta le soglie dell’università salgono ancora. Dell’1,72 per cento. Sono 5.429 neostudenti in più, 89 (in più) in media per ogni università. Un colpo di reni con cui l’università italiana torna a quota 300mila, i livelli precedenti al 2008, la grande gelata che per sei anni ha ibernato il nostro Paese.
Sono cinque stagioni che il sistema accademico cresce nelle immatricolazioni. Un recupero di quasi 28mila ragazzi all’alta formazione che conforta, ma non riempie la voragine del quindicennio 2004-2018: nelle segreterie ancora mancano quasi 45 mila nominativi. La risalita, tuttavia, ha un valore profondo se si tiene conto che la ripresa economica nell’ultimo quinquennio non è mai arrivata e che in questo anno di governo gialloverde la crescita del Pil è stata intorno allo zero.
Il rettore uscente dell’Università di Trieste, Maurizio Fermeglia, spiega dal Nord-Est: «Sui corsi a numero chiuso abbiamo raggiunto i livelli massimi possibili». Da Perugia, e non solo, fanno sapere: «Il numero di domande per i corsi ad accesso programmato locale è superiore ai posti disponibili». Pavia segnala una riduzione delle immatricolazioni alla triennale in Lingue e culture moderne «a seguito dell’introduzione dei limiti». Ecco, le famiglie italiane hanno introiettato il concetto: laurearsi serve, su un piano economico e sociale. E ti rende un cittadino più consapevole. Senza un piano pubblico di investimenti su aule e professori, però, senza un progetto lanciato dalla politica e abbracciato dal Paese, oltre questi numeri il sistema accademico non potrà andare.
I numeri delle matricole nel 2018-2019 ricalcano e migliorano quelli dell’anno scorso: 41 università crescono, 19 diminuiscono. Salgono ancora e in modo deciso le piccole, ma l’exploit della Mediterranea di Reggio Calabria – cresce di oltre un terzo ed è la migliore – spiega bene le politiche costrette a cui si sottopongono i dipartimenti: l’ateneo reggino l’anno scorso era sceso di oltre tre punti percentuali. Sorte contraria alla vicina Magna Grecia di Catanzaro: terza la scorsa stagione, nel 2019 perde sei punti ed è la quinta peggiore. Difficile programmare un cammino forte e armonico con risorselimitate e spazi contingentati. Sull’università italiana c’è la domanda. Ma l’offerta è timida.
Si segnala l’aumento dei neoiscritti anche in provincia. Da due stagioni vanno bene Stranieri di Perugia, Cassino, Sannio e Basilicata. Sono in segno positivo gli atenei dei terremoti dell’Italia centrale: L’Aquila, Camerino, Macerata. Le incertezze di governo, però, e le mancate riforme di Valditara tengono le mani legate a università come Ca’ Foscari e il Politecnico di Milano, che avrebbero risorse interne per investire su se stesse e crescono meno rispetto alle possibilità. «Noi aumentiamo dal 2016, il trend nazionale si è invertito, ma senza uno sforzo su infrastrutture e servizi è difficile continuare a dare qualità, siamo vicini a un livello di saturazione», commenta Michele Bugliesi, rettore di Venezia. Molto bene la Federico II di Napoli. Ancora bene il gigante Sapienza, trainato dai suoi studi classici. Vanno in area negativa università storiche come Firenze, le due torinesi e le due milanesi (Bicocca e Statale).
Nell’Italia in coda alle classifiche europee dei laureati salgono in tanti casi le iscrizioni alla magistrale biennale (280 iscrizioni in più a Cagliari, per esempio): le famiglie sono disposte a sostenere anche un investimento prolungato sui cinque anni. Sembra un Paese maturo, pronto ad aprire una stagione di rinascimento universitario. Dall’Università di Verona spiegano: «I casi critici si limitano ai corsi ad accesso programmato, che tende a intimorire gli studenti». Da settembre all’Alma Mater di Bologna arriveranno i primi sbarramenti anche nell’area umanistica: Dams e Comunicazione (corso fondato da Umberto Eco). Un tetto è stato messo anche a Matematica: «Abbiamo instaurato i numeri programmati per non far crescere gli studenti», osserva il rettore Francesco Ubertini. «Siamo arrivati al limite, non ce la facciamo ad andare oltre. È tempo di decidere, il Paese ha bisogno di più laureati».