Corriere della Sera, 30 giugno 2019
Biografia di Larissa Iapichino
Clarissa senza C (il copyright su Instagram è suo) come sempre va veloce: parcheggia il motorino davanti allo stadio e s’infila quasi di corsa nello spogliatoio col casco ancora in testa, trascinando borsa dell’atletica e zaino di scuola. A scrutarla dalle tribune del «Ridolfi» di Firenze mentre si allena, «Clarissa senza C» è difficile da classificare come atleta. Sfreccia dai blocchi di partenza, sembra una velocista pura. Salta gli ostacoli, pare una specialista navigata. Fa delle progressioni in curva da quattrocentista provetta e quando si lancia sulla pedana del salto in lungo la diresti nata per atterrare sulla sabbia.
Larissa Iapichino, 17 anni il prossimo 18 luglio, è troppo forte e troppo versatile per passare inosservata. E quando il 22 giugno scorso, ad Agropoli, ha saltato in lungo 6,64 metri – nessuno al mondo nemmeno a 20 anni si era spinto così lontano – il primo pensiero di papà è stato: troppo lontano. «Un’atleta della sua età – spiega Gianni Iapichino – deve sviluppare talento e creatività su più fronti e decidere solo a 19 o 20 anni cosa fare da grande. Ma quando viene fuori una prestazione del genere, enorme, la pressione per specializzarsi subito è tanta. Dobbiamo resistere».
In un’Italia dove la multietnicità di sangue e talento genera ancora polemiche, Larissa Iapichino è una multitutto. Mescola sangue inglese, giamaicano e toscano, ha la pelle ambrata e i talenti di mamma Fiona May, due argenti olimpici e un oro mondiale, prima azzurra oltre i 7 metri nel lungo, poi attrice, ballerina e donna di spettacolo di successo. Ma anche quelli di papà Gianni, che si arrampicava con l’asta fino a 5 metri e 70 per diventare poi eccellente giocatore professionista di golf. Figlia di due fuoriclasse, Larissa ha cominciato a giocare con l’atletica leggera a 13 anni correndo, saltando in alto e in lungo, passando ostacoli, lanciando peso e giavellotto. Ridendo e scherzando, ha abbattuto tutti i record di categoria.
La nostra atletica, vuoi perché drammaticamente a corto di talenti, vuoi per lungimiranza politica, è lo sport che più di tutti batte il tasto dell’integrazione consentendo da sempre ai ragazzini non ancora italiani di concorrere alle maglie tricolori. Quando Fiona May divenne azzurra per amore (e matrimonio) con Gianni Iapichino, le polemiche sui «veri azzurri» si sprecarono. Ma erano gli anni Novanta. Oggi metà delle medaglie internazionali dell’atletica azzurra se le guadagnano italiani acquisiti, di prima e seconda generazione, più motivati, affamati, disposti al sacrificio. Il percorso di Larissa è stato diverso, almeno dal punto di vista economico e sociale. Italiana fin dalla nascita, famiglia agiata, infanzia felice nel cuore di Firenze, tanti viaggi, due passaporti (italiano e inglese) e due lingue padroneggiate alla perfezione. Oltre a un ingresso nelle case degli italiani dalla porta principale, quella della tv: le colazioni con le merendine della Ferrero preparate da mamma Fiona sono tra gli spot di maggiore successo degli ultimi vent’anni.
La svolta traumatica è stato il divorzio, nel 2011, della coppia perfetta dello sport azzurro. «Papà e mamma me l’hanno comunicato un pomeriggio tornata da scuola – racconta lei – io mi sono seduta per non cascare a terra». Il padre: «È stata una di quelle che si definiscono separazioni difficili. Litigi, urla, gelosie folli. Un equilibrio io e Fiona l’abbiamo trovato non troppo tempo fa». Fiona tiene con sé la piccola Anastasia, Larissa va a vivere con papà a Firenze, equidistante (5 chilometri in scooter) dal liceo scientifico Leonardo da Vinci e dallo stadio Ridolfi. Anomalia in Italia e non solo: né il padre né la madre – che ne avrebbero le competenze – decidono di allenare la giovane Larissa. «La giusta distanza – spiega Iapichino – è quella tra tribuna e pista. Considerata l’età di Larissa, tra me e lei la conflittualità sarebbe stata continua e con l’esuberanza della madre avrebbe avuto problemi. Tra allenatore e atleta ci deve essere un rapporto quasi da padre e figlio. Quel quasi impedisce al genitore di essere un buon coach». Così Larissa ha due allenatori, uno per il salto il lungo (Gianni Cecconi) e una per gli ostacoli (Ilaria Ceccarelli), l’altra specialità dove ha qualità folgoranti. Al 6 e 64 di Agropoli c’è arrivata alla fine di un anno scolastico di studi matti e disperatissimi: «Il passaggio al triennio è stato tosto – spiega – negli ultimi due mesi ho fatto spesso notte per ripassare. Sono arrivata ai campionati sfinita. Gli insegnanti sono comprensivi: le mie interrogazioni sono programmate per consentirmi trasferte e stage, ma sulle domande nessuno sconto. Giusto così: se voglio frequentare un’università buona devo avere la preparazione adeguata». Per Gianni Iapichino, la strada intrapresa dalla figlia è quella giusta: «La storia ci insegna che la maggior parte dei super talenti si perde quando, com’è naturale, comincia a far fatica a migliorare o trova avversari forti. Larissa sta imparando cosa sono la fatica e la gestione del tempo». Lei, attenta ai libri, è moderatissima sui social dove non risponde mai a chi ancora la sfida con provocazioni idiote a sfondo razziale. La sua preoccupazione sembra un’altra: «A scuola, una dopo l’altra le mie compagne smettono di fare sport. Chi non fa più niente e chi, non so se è peggio, va in palestra a “fare pesi”. Lo sport è agonismo e gioia, che diventi quasi un trattamento estetico mi mette tristezza».