Corriere della Sera, 30 giugno 2019
Stabilità e politici
Stabilità (s. f.) - Ammiccante e affettuosa abbreviazione con cui, a cavallo tra i due secoli, s’indicava la casa di malaffare in vicolo della Stabilità Vecchia nei pressi di piazza Colonna, a Roma. Frequentata da borghesi, giornalisti e uomini di lettere (si sa di una visita del Verga trascinato dal Fogazzaro), era soprattutto un punto di riferimento per i parlamentari, che con la frase rimasta maliziosamente proverbiale, «Qui ci vuole un po’ di stabilità», sgusciavano dal vicino Montecitorio per darsi convegno nell’accogliente bordello. In quei saloncini tappezzati di damasco giallo-oro vennero prese alcune tra le più importanti decisioni politiche dell’epoca, dall’adesione alla Triplice Alleanza al Patto Gentiloni; e fu qui che il Crispi, ricevendo la notizia della disfatta di Adua, lasciò cadere di schianto la giovane donna che teneva sulle ginocchia causandole la lussazione dell’anca. Con l’avvento del fascismo, il rinnovo dell’arredo fu affidato all’architetto Piacentini, che sostituì i divani con triclinii e fece installare in ogni camera il criticatissimo «bidet littorio», da lui progettato. Dopo la legge Merlin (1958) che abolì le case di tolleranza, il palazzetto di vicolo della Stabilità passò in proprietà all’Iri, che ne ha fatto un residence a uso dei figli e nipoti dei suoi dipendenti allontanati dall’istituto per malversazioni.