Corriere della Sera, 30 giugno 2019
I Balcani nella sala d’aspetto
I Balcani occidentali sono diventati per l’Unione Europea una imbarazzante sala d’aspetto. L’Albania e la Macedonia del Nord chiedono insistentemente l’inizio dei negoziati per l’adesione alla Ue e sono stati molto delusi quando il Consiglio dei ministri ha recentemente stabilito di rinviare la decisione al prossimo ottobre. Per altri due Paesi (la Serbia e il Montenegro) esiste già una data (2025), ma è stata concordata nel febbraio del 2018, quando il clima era più ospitale. Oggi la posizione di molti membri dell’Ue è diventata più sospettosa e severa. È cresciuto il numero dei governi che diffidano dei nuovi arrivati e si chiedono che cosa accadrà quando alle porte dell’Unione busseranno anche la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo. È cresciuto il numero dei membri dell’Ue per cui questi Paesi non sono ancora Stati di diritto. Queste preoccupazioni sono legittime, ma dovute soprattutto alle esperienze fatte in questi anni con i Paesi dell’Europa Centro-orientale che sono membri dell’Ue dal 2004. Due in particolare (Polonia e Ungheria) stanno riformando il loro sistema giudiziario con norme che minacciano l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. Altri sembrano considerare le loro relazioni con gli Stati Uniti più importanti di quelle che hanno con Bruxelles. Il frettoloso allargamento realizzato dopo la disintegrazione del blocco sovietico è stato un tragico errore. Abbiamo aperto le porte dell’Unione Europea a Paesi che nelle due generazioni precedenti avevano fatto esperienze alquanto diverse. I sei Paesi fondatori (insieme a Grecia, Portogallo e Spagna) consideravano l’unità dell’Europa come la più efficace risposta ai nazionalismi che avevano distrutto il continente; ed erano pronti, per raggiungere questo scopo, a perdere una buona parte della loro sovranità. Mentre i Paesi che avevano appartenuto al blocco sovietico volevano recuperare la sovranità perduta e vedevano nell’Ue soprattutto una fonte di benefici economici. Fra questi Paesi e quelli che sono ora in sala d’aspetto nella penisola balcanica esiste, tuttavia, una importante differenza. Al primo gruppo avremmo potuto offrire benefici economici senza ammetterli nel club. Al secondo gruppo dovremmo dare molto di più. Se non vogliamo che finiscano nelle braccia di qualche altra potenza (fra cui Cina, Turchia e Russia) dobbiamo dare, insieme ai benefici economici, il sentimento di sicurezza e stabilità che deriva dall’appartenenza a una grande istituzione democratica. Naturalmente non dobbiamo dimenticare che un ulteriore allargamento potrebbe rendere l’Europa sempre meno governabile. Ma a questo rischio esiste un rimedio: rinunciare alla regola della unanimità, oggi valida nel Consiglio per «tutte le questioni considerate sensibili». La regola della unanimità fu applicata dalla Dieta polacca e il «liberum veto» (come si diceva allora) fu una delle cause della scomparsa dello Stato polacco nel 1795. Non vorremmo fare la stessa fine.