Avete mai partecipato al premio?
Antonio Debenedetti: Nel 2001, sono arrivato terzo. Ero favorito insieme a Vincenzo Cerami. Ma un po’ a sorpresa prevalse Domenico Starnone.
Raffaele La Capria: Vinsi con Ferito a morte nel 1961. Ricordo che nei giorni a seguire gran parte dei giurati mi confidò che se non fosse stato per loro non ce l’avrei fatta. Mi sentii come uno perseguitato da una schiera di creditori.
A.D. Quella sera di luglio Guido Alberti — l’industriale del liquore Strega — contava le schede e ogni volta che pronunciava il tuo nome aveva come un tic, non capisco se di approvazione o di dissenso.
R.L. Non credo ci fosse un ambiente ostile. Poi, sai, quando vinci, tutti vogliono prendersi una parte del merito.
A.D. Però eri anche visto come l’intruso napoletano, entrato prepotentemente nella vita culturale romana.
R.L. Ma io a Roma lavoravo da tempo e non mi sentivo affatto un intruso. È vero che ci fu un gruppo di votanti napoletani che fece il tifo per me. Ricordo Pomilio, Compagnone, Bernari, Rea. Ma sai chi si batté davvero per Ferito a morte? Fu il mio amico Goffredo Parise: Dudù, tu hai scritto una bellezza, mi disse telefonandomi.
Fu una vittoria tutt’altro che annunciata.
A.D. Nessuno se l’aspettava. Luigi Barzini era alla presidenza, poi al tavolo c’erano Elsa Morante e Guido Piovene. Alberti, come dicevo, contava le schede. La folla ondeggiava. Quando si capì che avevi vinto su Fausta Cialente e Giovanni Arpino, vidi la tua euforia. Sul tuo vestito bianco spiccava un’abbronzatura da bagnino.
R.L. Sì, ero felice. Seppi in seguito che la Cialente si lamentò con il suo editore, Feltrinelli, per essere stata lasciata sola. E quando gli chiesero se aveva letto Ferito a morte, rispose: no, però so che è un romanzo pieno di pesci. Semmai sarebbe stato interessante vedere nella cinquina Leonardo Sciascia. Il suo Il giorno della civetta non riuscì a superare le semifinali.
A.D. Ricordavi il ruolo di Parise. Quando Goffredo vinse con I Sillabari gli hai restituito il favore.
R.L. Goffredo arrivò primo nel 1982 e non aveva bisogno del mio voto, che pure gli diedi, perché stravinse, davanti a un giovanissimo Andrea De Carlo. Quell’anno non ci fu partita. Fu giusto che vincesse il libro più bello e significativo.
L’anno prima prevalse Umberto Eco con "Il nome della rosa".
A.D. Quella vittoria fu senza rivali.
Ultimo della cinquina arrivò Gesualdo Bufalino con Diceria dell’untore. Prese pochi voti. Sono convinto che quell’anno mutò la strategia editoriale in relazione allo Strega. Si cominciò a premiare il bestseller preferendolo al romanzo pensoso o di qualità.
R.L. Anche in seguito ci sono state molte vittorie scontate. Si è fatto sentire, in qualche modo, il peso determinante delle case editrici più forti.
Mondadori, Einaudi, Rizzoli, Bompiani eccetera. Oggi in larga parte sotto lo stesso marchio.
A.D. È vero ma un potere si rafforza o si impone se si crea un vuoto. E il vuoto lo ha lasciato il tramonto della società letteraria. Bisogna tornare alle origini del premio per capirne il ruolo. Fin dal 1946 Maria Bellonci cominciò a riunire nel suo salotto di viale Liegi il meglio della cultura letteraria italiana. Fu uno dei segnali di ripresa dallo sfacelo cui l’Italia era stata ridotta dal fascismo e dalla guerra.
R.L. Il primo vincitore fu nel 1947 Ennio Flaiano con Tempo di uccidere.
A.D. Vinse un giovane intelligentissimo. L’anno dopo, quasi in alternanza, il premio venne assegnato al vecchissimo Vincenzo Cardarelli, "il più grande poeta italiano morente" scrisse Amerigo Bartoli.
C’erano già allora polemiche?
A.D. Non ne mancarono, alcune anche piuttosto bizzarre. Quando Cesare Pavese vinse nel 1950 con La bella estate, raccontarono che era già molto depresso. Si sarebbe ucciso pochi mesi dopo. Ma la cosa che poi si seppe è che scrisse alla Bellonci perché Giulio Einaudi, il suo editore, aveva trattenuto il premio che allora era di cinquecentomila lire.
R.L. Poi sarebbe stato portato a un milione. Quell’anno concorse anche Curzio Malaparte con La pelle, ma arrivò ultimo.
A.D. Ci fu polemica anche con Pasolini che nel 1968 ritirò la sua partecipazione con Teorema. Denunciò il clima di compromesso che si era formato intorno al premio e il fatto che si premiassero romanzi dozzinali. Per farlo recedere dal suo intento, la Bellonci gli promise che l’anno successivo avrebbe riformato lo Strega. Cosa che poi non avvenne.
R.L. Quell’anno vinse Alberto Bevilacqua con L’occhio del gatto, non proprio un romanzo indimenticabile. Già un’altra volta Pasolini era incorso in una polemica, nel 1959 con Beppe Fenoglio.
A.D. Fu l’anno dello Strega a Tomasi di Lampedusa. Livio Garzanti mandò in concorso Una vita violenta. Bellonci e gli Amici della domenica vollero anche candidare Primavera di bellezza di Fenoglio e Pasolini si arrabbiò, pensando che gli avrebbe tolto voti. Poi Fenoglio non arrivò nella cinquina finale e la cosa si risolse.
R.L. Pasolini giunse terzo, perfino dietro a Mario Praz che partecipava con La casa della vita.
Come si arrivò alla vittoria de "Il gattopardo"?
A.D. Fu una vittoria postuma perché l’autore era morto nel 1957. Grazie alla Bellonci e al nutrito gruppo di giurate il romanzo prevalse. Polemiche a non finire. Si insinuò che veniva premiato un libro di destra e anche un po’ razzista.
R.L. Nel Partito comunista come al solito si divisero. Lucio Lombardo Radice lo assolse riconoscendogli un certo valore letterario. Mario Alicata, che governava i destini della cultura comunista, scrisse una feroce stroncatura. Era questo il clima.
Al quale però una donna come la Bellonci sapeva tenere testa.
A.D. Era una generalessa capace di comandare le sue truppe inclini a muoversi in ordine sparso.
R.L. C’è la sublime caricatura che ne fece Vittorio Gassman nel film I mostri...
A.D. Era un incrocio tra la Bellonci e Maria Luisa Astaldi, un altro "corazziere" della cultura di quegli anni. Molto amica di Alba de Céspedes dal cui salotto in parte derivò quello della Bellonci.
R.L. Era veramente un’altra epoca. Anni di Belle Époque trascorsi tra via Veneto e Piazza del Popolo. Anni in cui non era strano darsi appuntamento alle due di notte. Poi, molte decisioni venivano prese in trattoria, mica solo nei salotti. Forse l’unico rimpianto è per alcuni grandi che non l’hanno vinto.
A.D. Carlo Emilio Gadda partecipò due o tre volte ma senza mai farcela. Ci fu un anno in cui Alberto Moravia decise di non concorrere per lasciare la possibilità a Gadda di vincere. Accadde però che L’Osservatore Romano mettesse all’indice i suoi racconti e a quel punto gli Amici della domenica gli chiesero, come protesta contro le decisioni della Chiesa, di partecipare e vinse con largo margine proprio su Gadda.
R.L. Era il 1952 e quell’anno concorreva anche Italo Calvino con Il visconte dimezzato, peccato che arrivò ultimo. Fu un altro che non vinse mai. Come del resto Pasolini.
Lo Strega non ha sempre premiato i migliori?
R.L. Qualche volta sì e altre volte no. È come il Nobel, non è che ogni anno vince lo scrittore più bravo.
A.D. Forse è come Sanremo. Gli resta attaccata una grande popolarità che non necessariamente si traduce in qualità. Resta il fatto che in una città come Roma ormai allo sfascio lo Strega rimane uno dei pochi eventi davvero nazionali.