Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  giugno 30 Domenica calendario

I creatori dei miniassegni bocciamo i minibot

In fondo sono stati loro i primi. Era il 1975. Fu l’allora Banca San Paolo a inventare i miniassegni, piccole banconote da 100 lire che sostituivano le monete, improvvisamente introvabili. Oggi chi sostiene l’utilità dei minibot si rifà esplicitamente a quel precedente. Bruno Picca, membro del cda di Intesa Sanpaolo, spiega perché il paragone è improprio.
Professor Picca, se non aveste cominciato voi, nessuno oggi ci penserebbe. Vi sentite responsabili?
«La storia dei miniassegni è molto diversa dalla proposta dei minibot».
Perché cominciaste?
«Perché la Banca d’Italia, che allora coniava la moneta, non riusciva a tener dietro alla richiesta di spiccioli. Parliamo delle 50, 100 lire».
E allora voi avete cominciato a stampare le 100 lire di carta..
«Certo. Erano miniassegni che davamo ai nostri clienti e che poi cominciarono a circolare.
Successivamente altre banche fecero lo stesso e per un certo periodo quei pezzi di carta sostituirono le monetine introvabili».
Perché allora oggi tanto scandalo per i minibot?
«Perché i minibot avrebbero una natura completamente diversa. C’è una differenza radicale: i miniassegni erano coperti dalle banche che li emettevano, non erano debito dello Stato. Le banche non potevano, ovviamente, coniare moneta sostituendosi alla Banca d’Italia. Questa è la differenza. Le banche emettevano piccoli assegni che circolavano come moneta ma non erano moneta. Erano impegni di pagamento coperti direttamente dalla banca».
E i minibot?
«Da quel che si capisce i minibot sarebbero emessi dallo Stato a copertura dei propri debito verso i fornitori. Dunque sarebbero garantiti dallo Stato. E dunque diventerebbero debito dello Stato. Secondo i principi contabili però i debiti verso i fornitori non entrano a far parte del debito dello Stato».
Non è così?
«Il principio nasce dal presupposto che lo Stato onori in tempi relativamente brevi i suoi impegni verso i fornitori. Ma se quegli impegni, invece di essere evasi in due, tre mesi, vengono cristallizzati in un minibot, diventano per questo stesso fatto debito dello Stato. Perché è lo Stato che si impegna a pagare, come per qualsiasi altro bot, mini o maxi che sia».
I fautori del minibot sostengono che non diventerebbero debito.
Secondo lei hanno torto?
«Non si vede come non diventino debito. C’è solo un’altra possibilità: che diventino moneta. Ma, come dice ben più autorevolmente di me Mario Draghi, se diventano moneta violano le regole che presiedono al funzionamento dell’euro. Del resto è intuitivo: se uno aderisce a una moneta, non può contemporaneamente stamparne un’altra».