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 2019  giugno 30 Domenica calendario

Il boom di furti di libri antichi

Si potrebbe chiamarla libridine, riprendendo una battuta dell’editore Vanni Scheiwiller. È il piacere che si dice provino i ladri di libri, soprattutto antichi. L’ultimo atto di una storia che precede l’invenzione della stampa sono i 15 arresti per il furto avvenuto la notte del 30 gennaio 2017 in un deposito di Feltham, vicino a Heathrow. I ladri si erano calati dal tetto e avevano rubato 260 libri antichi – valore sui 2 milioni di euro – stoccati da un antiquario di Padova e da due collezionisti, uno di Pavia e uno tedesco, per spedirli a una fiera di San Francisco. Degli arrestati non si sa quasi nulla, solo che si trovavano in Romania e Inghilterra, e che probabilmente agivano su commissione. Di chi li ha arrestati si sa tutto: carabinieri di Monza, polizia di Londra e romena, Europol ed Eurojust. A scorrere l’inventario viene da piangere: ci sono manoscritti illustrati persiani del Settecento; il primo libro stampato sulle donne, De claris mulieribus di Giacomo Foresti, 1497; l’ Isolario di Benedetto Bordone del 1540; antiche edizioni di Petrarca, Dante, Boccaccio, Pico della Mirandola, le Opere complete di Galilei del 1656 e quelle sparse di Copernico, Newton e Spinoza. Opere che possono superare i 60mila euro. Niente, a quanto si sa, è stato recuperato.
I libri, come i diamanti, non si consumano. I soldi si spendono e le armi si usano, ma i libri rimangono e patiscono meno il passare del tempo. La loro forma è ancora quella fissata da Gutenberg e Aldo Manuzio, e il carattere del 90 per cento dei libri italiani resta il Garamond, che risale al Cinquecento. Questa permanenza spiega, in parte, l’attrazione che esercitano, una febbre che può sfociare nella mitomania, incontra il potere, lo usa e ne viene usata, ma lo fa attraverso un oggetto, il libro, il cui potere sembrerebbe tendente allo zero.
Anche la bibliocleptomania, come la forma dei libri, attraversa i secoli senza cambiare. È esemplare in questo senso la storia recente di Massimo De Caro, condannato nel 2013 a nove anni per avere sottratto migliaia di libri alla biblioteca dei Girolamini di Napoli che dirigeva e a tutte quelle dove riuscì a mettere le mani. De Caro, che arrivò a sostituire con dei falsi le due uniche copie esistenti delle Operazioni del compasso geometrico e militare di Galileo, i libri li amava, ma li usava anche per avere potere, omaggiando politici disinteressati come Gian Carlo Galan o appassionati come Marcello Dell’Utri.
La smania di De Caro – ricostruita anche da Sergio Luzzatto in Max Fox o le relazioni pericolose – ricalca quella di altri grandi bibliocleptomani. L’italiano più famoso fu Guglielmo Bruto Icilio Timoleone, detto conte Libri-Carucci della Sommaia, un nobile fiorentino che, dopo una vita di fiorenti e illeciti commerci in Francia, nel 1848 fuggì in Inghilterra portando con sé 18 casse stracolme. Ma il più “libridinoso” di tutti è “Tome Raider”, vero nome William Jacques, un inglese laureato a Cambridge, che saccheggiò le migliori biblioteche d’Inghilterra, fu arrestato nel 2002 e di nuovo nel 2004 quando provò a entrare alla British Library di Londra con barba finta e occhiali da sole.
Il furto di libri antichi è una fattispecie, più lucrativa e rischiosa, di una pratica che incide sui conti di ogni editore e libraio. In una grande libreria i furti valgono in media almeno l’1 per cento. Riccardo Cattaneo, ex direttore generale delle librerie Mondadori, stimava ogni anno in Italia si rubino circa 80 mila libri. Ma il furto dimostra il desiderio. Per Giulio Einaudi, infatti, era la riprova del successo: «Un libro rubato è un libro letto», diceva. E la rivista letteraria inglese Granta lanciò una campagna di abbonamenti presentandosi proprio come la più rubata d’Inghilterra. Il fatto è che i libri non sono considerati merci normali, ma merci a metà. Ne consegue che rubarli per alcuni è un rito di passaggio e un atto libertario. La teorizzazione più esplicita si trova nel paradossale bestseller di Abbie Hoffman Steal this book (Ruba questo libro) del 1971. Più recente l’altrettanto paradossale guida How to shoplift books (Come rubare libri) di David Horvitz, artista americano che consiglia: «Libera un cane selvaggio ed esci con il libro nel subbuglio» o «Ruba il libro una pagina per volta da differenti negozi» (pratica adottata da un tizio che imperversava alla Feltrinelli di Milano strappando qua e là libri di poesia).
Ogni libro, prima di diventare antico, è stato contemporaneo. Ma quando i libri erano più costosi, gli antifurti più radicali. In Europa esistono biblioteche – le più famose a Wenchoster, nel Suffolk, e a Hereford, vicino a Gloucester – dove i libri sono incatenati agli scaffali. Il flagello era così diffuso che nel 1568 e 1752 Pio V e Benedetto XIV emanarono bolle di scomunica, non risolutive. In Una storia della lettura Alberto Manguel riporta la maledizione contro i ladri della biblioteca del Monastero San Pedro de las puelles di Barcellona: «Che le sue mani si cangino in serpente, e lo stritolino nelle loro spire. Che sia colpito da paralisi, e che tutte le sue membra esplodano. Che la sua agonia non cessi fino a che il suo corpo non sarà dissolto. Che i tarli gli rosicchino le viscere e che le fiamme dell’Inferno lo consumino in eterno». Nel Rinascimento – lo racconta Lawrence S. Thompson in Notes on Bibliokleptomania (New York, 1944) – le maledizioni erano spesso scritte sui libri dai proprietari medesimi.
La libridine ha una storia millenaria, ma per lo più individuale. Il furto di Feltham fa pensare a una struttura organizzata dove non c’è più spazio per lalibridine.
Eppure non è spiacevole immaginare che William Jacques, scontata la pena, passi i suoi giorni a sfogliare Nouvelle Iconographie des Camelias, la folle e meravigliosa enciclopedia illustrata in tredici volumi che riuscì a rubare e non fu mai ritrovata.