la Repubblica, 30 giugno 2019
L’armata Brancaleone per Alitalia
Fuori Atlantia, indesiderata causa tragedia del Ponte Morandi. Dentro l’Armata Brancaleone. La caccia all’ultimo socio necessario per completare la rosa di aspiranti salvatori di Alitalia si sta trasformando – a un passo dalla scadenza dei termini di vendita – in una sorta di X-Factor ad alta quota. Protagonista, ad oggi, un tris di “candidati” con qualche scheletro nell’armadio, pochi soldi nel portafoglio e esperienze aeronautiche che – quando ci sono – sono dei boomerang.
La prima a scendere in campo al capezzale dell’ex-compagnia di bandiera è stata la famiglia Toto, presentando come credenziali l’esperienza in Air One – venduta a peso d’oro ad Alitalia nel 2009 – e un assegno da 250 milioni appena incassato con la vendita di un campo eolico in Usa. Ma dimenticando di evidenziare – è facile capire perché – i tanti contenziosi che la oppongono ad Anas e Stato sulle concessioni autostradali e la fine amara (leggi il fallimento) della loro ultima esperienza aeronautica alla cloche della Livingston. A ruota è spuntato Claudio Lotito giurando di aver ottenuto 300 milioni di crediti per entrare da protagonista nel mondo del trasporto aereo. Chi glieli abbia dati non si sa ancora visto che al netto degli interessi calcistici il patron della Lazio gestisce aziende con un giro d’affari inferiore ai 100 milioni (un po’ garantiti dai biancazzurri). Ma lui assicura di fare sul serio e gli advisor di Mediobanca, pragmaticamente, sono in attesa delle prove documentali dell’esistenza del tesoretto.
A sparigliare le carte tra i potenziali salvatori dell’ex compagnia di bandiera. Però, è arrivata ora – come anticipato da Il Sole 24 Ore — una new entry con tutte le carte in regola per riportare Alitalia in quota: German Efromovich, primo azionista dell’aerolinea colombiana Avianca. Il suo know-how in tema di vettori in crisi, curriculum alla mano, è indiscutibile: il 24 maggio Avianca Brasil, ha chiuso i battenti cancellando mille voli dopo aver dichiarato bancarotta. Stessa sorte è toccata due settimane fa ad Avianca Argentina che ha sospeso le operazioni per 90 giorni in attesa di ristrutturazione. Nelle stesse ore United Airlines, partner di Efromovich nella holding che controlla tutte le attività sudamericane di Avianca, gli ha tolto la guida operativa del business. Il motivo? L’imprenditore sudamericano non ha pagato 456 milioni di debiti con il vettore Usa. Che grazie ai patti parasociali l’ha espulso dal consiglio d’amministrazione prendendo il controllo del secondo vettore del continente. «Una soluzione – dice la stampa colombiana – che è stata accolta con un sospiro di sollievo dal personale», preoccupato dalla spirale di crisi in cui si stava avvitando la società sotto la guida di Efromovich.
Il tempo però stringe, pecunia non olet, e in questo quadro brancaleonesco nessuno pare aver intenzione di fare troppo le pulci ai curriculum vitae dei candidati visto che in ballo c’è il futuro di Alitalia. In fondo Efromovich, figlio di genitori ebrei sfuggiti durante la seconda guerra mondiale dalla Polonia, ha una storia internazionale – dicono i suoi fan – fatta non solo di ombre ma anche di qualche luce: ha rilevato Avianca dalla bancarotta trasformandola in un big continentale, ha investito – spesso con il supporto dell’hedge fund Elliott – nel settore alberghiero, nelle uova di quaglia, nei pozzi petroliferi e nei porti in Brasile. Peccato che pochi di questi business abbiano funzionato: molti hanno chiuso, quelli marittimi sono finiti con una bancarotta anche a Rio de Janeiro abbinata – tanto per non farsi mancare nulla – a un coinvolgimento marginale per presunte mazzette nell’inchiesta Lava Jato. E l’impero di Efromovich, hanno rivelato i Panama Papers, è fatto di una ragnatela di società offshore che vanno dal canale centramericano a Cipro e alle Bermuda. La torre di controllo ideale per far decollare la nuova vita di Alitalia.