La Stampa, 30 giugno 2019
Intervista a Letizia Moratti
Letizia Moratti - ex presidente Rai, ex ministro dell’Istruzione ed ex sindaco di Milano - è presidente del cda di UbiBanca. È anche la cofondatrice della Comunità di San Patrignano.
Come definirebbe la Comunità?
«Insieme alla mia famiglia, per me è un punto fermo. È un’eccellenza nel settore ammirata e imitata in molti Paesi nel mondo. Non è solo il punto di riferimento nel recupero dalla tossicodipendenza e dal disagio, ma anche una impresa sociale all’avanguardia nel panorama italiano».
Impresa sociale, quasi un ossimoro.
«Al contrario, una risposta a sfide inedite che le società contemporanee affrontano, come la crescita demografica, l’invecchiamento della popolazione, l’emergere di nuovi rischi e bisogni sociali. Gli attuali problemi richiedono nuovi modi di pensare e agire, azioni che incoraggino nuovi sistemi di welfare e un ecosistema favorevole a imprese che si pongono obiettivi sociali».
Ci sono altri esempi oltre a San Patrignano?
«Certo, le imprese sociali oggi rappresentano il 10% del Pil europeo, con un impatto occupazionale di oltre 11 milioni di lavoratori. Sotto il grande cappello "No profit" ci sono esperienze molto positive in molti Paesi europei. Penso a Le Community Interest Company, il modello introdotto dal governo britannico e destinato a imprese sociali che vogliano usare i propri profitti o asset per scopi sociali. Dalla nascita, nel 2005 ad oggi sono oltre 10 mila quelle registrate. Non bisogna però dimenticare l’esperienza italiana delle cooperative sociali: sono circa 14.000. Rispondono in modo nuovo anche alla crisi del welfare».
Cioè?
«I sistemi tradizionali sono sempre meno sostenibili e già oggi in molti Paesi si registrano gap miliardari tra la domanda di servizi pubblici e la capacità di far fronte a tale domanda. In Italia ad esempio il gap entro il 2025 è stimato in 70 miliardi. Per risolverlo, occorre un cambio di paradigma, un modo diverso di pensare l’economia, di cui le imprese sociali sono un caposaldo».
Torniamo a San Patrignano: lei è stata cofondatrice con suo marito Gian Marco Moratti. Ricorda quei tempi?
«La Comunità fu fondata nel ’78 da Vincenzo Muccioli, io e mio marito abbiamo iniziato a seguirla dal ’79. Poi il nostro impegno è cresciuto, abbiamo contribuito a fondare la Fondazione San Patrignano».
Cosa vi ha portato a fare questo?
«Un desiderio di allargare i nostri orizzonti affettivi. Eravamo alla ricerca di una causa da sposare. Il padre di Gian Marco ci suggeriva di pensare ai giovani, perché si crede che non ne abbiano bisogno ma non è così. Poi c’è stato l’incontro con Vincenzo Muccioli, una persona "normale" che aveva aperto le porte a situazioni di dipendenza. È nata un’amicizia. Abbiamo dato un contributo e cominciato a frequentare San Patrignano: allora ospitava 10-12 giovani».
Quanti sono oggi?
«Circa 1.300 e negli anni ne sono passati 27.000. I primi Anni 90 sono stati difficili, con la grande diffusione dell’Aids: abbiamo avuto anche più di 50 morti all’anno, adesso per fortuna si può curare».
Qual è il percorso?
«E’ totalmente drug-free, della durata media di 4 anni, la sua efficacia è oggetto di periodiche e rigorose valutazioni scientifiche: a distanza di tre anni dalla conclusione oltre il 70% è completamente reinserito nella società e non fa uso di droga».
Quante persone lavorano a San Patrignano?
«Circa 220 e quasi la metà sono ex ragazzi che hanno scelto di vivere e lavorare nella Comunità. Sono responsabili delle diverse aree, sia sociali, sia gestionali, sia operative ».
Ci sono anche stranieri?
«Sì ne abbiamo un centinaio e vorrei ricordare che San Patrignano è completamente gratuito. Ci piacerebbe che diventasse sempre di più un modello da considerare».
Quanti anni hanno i ragazzi che vengono da voi?
«La media è 26 anni, ma ci sono anche persone che arrivano ai 50. E pure minorenni».
Il consumo di droga in Italia è in aumento?
«Purtroppo sì, e vi sono più donne rispetto al passato e più giovanissimi, anche di 12 -13 anni. Vi è ormai un mix di droghe sintetiche mescolate a cocaina o eroina. Oltre al recupero, è importante prevenire la dipendenza. Noi abbiamo realizzato un programma di incontri con le scuole, con testimonianze di giovani che parlano ai giovani e quindi si capiscono».
Di cosa vive la Comunità?
«Per il 50% dei ricavi dei vari prodotti e delle attività: il caseificio, il forno, solo l’anno scorso abbiamo prodotto 38.000 panettoni. E poi la tessitura, facciamo sciarpe e plaid. Ma abbiamo anche un’attività di fundraising, con donazioni e progetti speciali, come la collezione d’arte».
Di cosa si tratta?
«Di un endowment, primo caso in Italia, un piccolo patrimonio che potrà servire in caso di necessità straordinarie. Abbiamo coinvolto amici collezionisti, ipotizzando anche una lista di artisti che potevano essere interessati. Siamo rimasti colpiti dalla loro generosità».
Quanti artisti?
«Più di 50 , molti contemporanei come Yan Pei Ming, Vanessa Beecroft, Xiaongang Zhang, Pietro Ruffo. E opere di grandi maestri, come Michelangelo Pistoletto con un suo autoritratto. Nella collezione è presente sia pittura, sia scultura: da Alberto Garutti fino a Mona Hatoum».
Dov’è la sede?
«Il Comune di Rimini ospiterà la collezione nel nuovo Museo di Arte Contemporanea nel Palazzo del Podestà e nel Palazzo dell’Arengo, che verrà inaugurato al termine di un intervento di riqualificazione».