La Stampa, 30 giugno 2019
Il calciomercato permanente
Il paradigma della vita pubblica italiana è diventato, da qualche anno, fuor da ogni previsione e sospetto, il calciomercato. A questa attività di frenetico mercimonio riservata a una categoria limitata ma rappresentativa, quella dei calciatori, si sono ispirati tempi e modi della politica e dell’informazione. Alla sua stregua sono emerse figure di conclamata notorietà e si sono determinati comportamenti dominanti nelle arene dello spettacolo, e non solo.
Partiamo da un dato, anzi da una data. Ufficialmente il calciomercato inizia domani. Ora, chi segue le pagine sportive, o anche le sorvola distrattamente, obietterà: «Ma se sono giorni che se ne parla!». Giusto. E sbagliato. Non si è mai smesso. Dalla presunta chiusura di quello scorso. È una fiera permanente. Le trattative si fermano in una mezzanotte afosa, siti e giornali compilano gli schemi con le formazioni tipo e le rose complete delle squadre, ma si tratta di fotografie di fiumi, un attimo dopo non sarebbero già più le stesse. A mezzanotte e un minuto riparte la girandola di possibili scambi, rinforzi a gennaio, prenotazioni per l’anno prossimo, svincoli e prestiti.
Un tempo tutto questo aveva una unità di tempo e spazio. Si svolgeva in settimane predefinite in uno storico hotel milanese, il Gallia. Come a una convention, le società sportive affittavano stanze e ci affiggevano una momentanea targhetta. I manager passavano dall’una all’altra per le contrattazioni. I corridoi sussurravano. Questo sistema è esploso in ogni direzione. Si è dilatato non solo nel tempo, anche nello spazio. Si tratta ovunque, negli hotel di Baku, su spiagge greche, negli yacht ormeggiati in Costa Azzurra dai nuovi protagonisti del mercato che hanno surclassato i manager delle società: gli agenti.
Qualcosa di molto simile è accaduto nella politica italiana. Si vota, alla mezzanotte si ha uno schema piuttosto preciso della situazione, viene proiettata l’infografica del nuovo parlamento con gli schieramenti, le possibili maggioranze e il governo che ci attende. Il giorno dopo già appaiono i primi sondaggi: «se si votasse oggi andrebbe così», con significativi mutamenti di scelte, diversa distribuzione dei seggi e possibili maggioranze alternative che darebbero vita ad altri governi. Di conseguenza, chi è chiamato ad amministrare fa in realtà altro: campagna elettorale, permanente proprio come il calciomercato. Nulla è consolidato, nessuna squadra: di calcio o di governo.
Anche in politica esisteva una delimitazione del campo: si discuteva pubblicamente, cercando di carpire consensi, in un tempo e spazio predefiniti. Di solito nei mesi a ridosso delle elezioni. I ring erano le piazze o le tribune televisive (definite politiche o elettorali a seconda del momento) dove l’arbitro, neutrale fin dall’aspetto, faceva rispettare le regole. Anche questo sistema è esploso. La lotta per la cattura della benevolenza degli elettori non ha soste. Si svolge su infinite piazze: reali e virtuali. Le tribune televisive si sono moltiplicate, vanno in ferie soltanto ad agosto (sempreché non si voti a settembre) e l’arbitro è spesso sostituito da un guardalinee, categoria che, come noto, sta da un solo lato del campo. Talora, a indicarlo sono addirittura alcune tra le forze politiche rispetto alle quali dovrebbe garantire l’imparzialità.
La credibilità con cui i leader si rivolgono alle platee è la stessa che hanno i presidenti delle società di calcio. Gli uni e gli altri promettono a getto continuo: la riduzione delle tasse e l’arrivo di un fuoriclasse. Come spesso nella recente storia italiana è stato Silvio Berlusconi a fare il salto di qualità verso il precipizio, aprendo i vasi comunicanti, utilizzando il calciomercato in campagna elettorale. E viceversa.
Quanto a credibilità, è il sistema dell’informazione ad averci rimesso, essendosi fatto deragliare dagli standard adottati per il calciomercato. Il concetto di notizia si è slabbrato fino a dissolversi. La necessità della verifica è saltata. La verità è stata sostituita non da quella lontana parente che è la verosimiglianza, ma da quella sconosciuta che è l’aspettativa, moglie del desiderio. Da gennaio a dicembre viene pompata l’illusione del colpo. Ad alimentarla non sono più voci, i famosi corridoi, del Gallia o di Montecitorio. Sono certezze presunte, senza se e senza virgolette. Risulta incredibile che una agenzia di stampa possa aver rimosso i vertici per aver diffuso ora e luogo della presentazione di Guardiola come nuovo allenatore della Juventus (per chi non lo sapesse è invece Sarri, ma per un po’ lo è stato Pochettino, o Inzaghi).
Certo, il mercato, quello azionario, che vive di illusioni e non di realtà, si è turbato, il titolo si è mosso, ma se tutte le affermazioni su affari dati per conclusi e mai realizzati avessero portato a provvedimenti per chi ne era autore, le redazioni si svuoterebbero. È, di nuovo, quel che accadrebbe se i politici dovessero pagare le conseguenze delle promesse non mantenute. Invece tutto si dimentica, perché tutto cambia. Non ci sono più le «bandiere», né le ideologie. Le foto di gruppo sono sfocate perché tutti sono in movimento. C’è un rimpasto in programma, un ritocco in difesa, ci sono i fuoriusciti verso il gruppo misto e i centrocampisti fuori rosa in attesa di trasferimento, gli uni e gli altri stipendiati come prima. È un gran via vai cui manca una sola cosa: il senso.
Qualche anno fa il neopromosso Sassuolo, proprietà di un importante industriale scontento, a gennaio cambiò undici giocatori, più l’allenatore. Dopo una catena di sconfitte tornò al precedente allenatore e ai giocatori sostituiti e si salvò. Per cercare di trovarlo, quel senso, hanno aumentato le pagine e le trasmissioni dedicate. Vi proliferano esperti svociati che fanno l’oroscopo delle future formazioni. Anche in quello il calciomercato ha precorso i tempi: le «bombe di Mosca» al Processo di Biscardi valevano le intemerate di Sgarbi e Corona mentre si affronta la situazione politica nei talk show. E ora, signore e signori: chiasso. Quarantatré anni fa Rino Gaetano tracciava un confine alla credulità affermando: «Mio fratello è figlio unico perché è convinto che Chinaglia non può passare al Frosinone». Ora siamo tutti orfani e disposti a qualunque paradossale baratto, tra la verità e il sogno di una infinita mezza estate.