Il Sole 24 Ore, 30 giugno 2019
A Wimbledon l’erba è sempre più verde
«Là dove c’era l’erba, ora c’è...una città». Le cronache non registrano alcun passaggio di Adriano Celentano da Wimbledon, ma il ragazzo della via Gluck avrebbe probabilmente lo stesso feeling, oggi, sui prati dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club.
Nel tennis delle favole, c’era una volta il Court Number 1, il campo numero 1. Costruito nel 1924, aveva una gradinata di legno che scricchiolava e oscillava leggermente se la folla si eccitava troppo, cosa che il self-control della Londra dell’epoca non consentiva molto spesso. Noi giornalisti dovevamo fare esercizi di contorsionismo per infilarci nelle panche ricavate in una buca d’orchestra a un angolo del campo: ma ne valeva la pena. Con una vista all’altezza dell’erba, un paio d’ore di gioco di un André Agassi o una Steffi Graf erano un clinic impagabile sul movimento dei piedi nel tennis, uno spettacolo che deliziava i puristi e che scatenava i commenti dell’indimenticabile Robertino Lombardi sulla biomeccanica del gioco. Poi c’era la pioggia: quasi mai bastava, anche una volta che la partita era sospesa, a smuovere gli appassionati dai loro posti, conquistati faticosamente.
Il vecchio Court Number 1 è sopravvissuto a se stesso, e alle esigenze commerciali del tennis contemporaneo, fino agli anni Novanta. Poi è stato impietosamente demolito per far posto al suo successore, una sorta di disco volante, ma dotato di ristoranti, box per gli spettatori Vip, un maxi-schermo esterno, in una parola, uno stadio dell’era moderna. Nei Championships alla loro 133esima edizione (che comincia domani all’All’England Club e finisce il 14 luglio), vede la luce l’ultima versione del campo numero 1, quella che sconfiggerà anche la pioggia, essendo dotata di un tetto retrattile come quello già in uso sul Centre Court, il campo centrale, dal 2009.
Fa sorridere pensare alle traballanti tribune del campo originale, quando solo per il tetto sono stati montati 11 cavi d’acciaio da 100 tonnellate l’uno. I nostalgici possono sempre rifugiarsi nell’oasi del Wimbledon Museum, dove è stata installata una mostra sulla storia del campo numero 1.
L’All England Club ha peraltro l’abilità impareggiabile di ergersi come bastione della tradizione (in fondo non è l’ultimo torneo del Grand Slam, e uno dei pochi della stagione, che ancora si giocano sull’erba?) e al tempo stesso rinnovarsi continuamente. Ironicamente, da quando esiste il tetto sul centrale, il luglio londinese è diventato sempre meno piovoso. Dopo le maratone dell’anno scorso, che hanno tenuto in campo oltre misura soprattutto Kevin Anderson e John Isner, e forse un po’ falsato la conclusione del torneo, è stato introdotto anche il tie-break al quinto set, anche se come sempre in modo che non allinei Wimbledon completamente agli altri tornei dello Slam: solo dopo il 12 pari. Intanto, “the money keeps rolling in”, i soldi continuano a entrare, come le folle di spettatori, che ormai possono arrivare a 42mila al giorno. E a uscire: Wimbledon è il sogno di ogni banchiere centrale che non riesce a schiodare l’inflazione da poco sopra lo zero. I premi totali per i giocatori sono cresciuti dell’11,8%, dai 34 milioni di sterline dell’anno scorso ai 38 di quest’anno (poco più di 42 milioni di euro). I campioni, maschio e femmina (anche sulla parità dei sessi l’All England Club ci ha messo un po’ ad allinearsi alla modernità), porteranno a casa 2,35 milioni a testa, contro 2,25 del 2018.
E anche sul fronte del tennis giocato, la vigilia è stata movimentata da una controversia che ancora una volta schiera Wimbledon, gelosa della sua unicità, in una categoria a sé stante. In tutti i tornei del mondo, le teste di serie per formare il tabellone degli incontri seguono la classifica dell’Atp, basata sui risultati degli ultimi 12 mesi. Ma Wimbledon, perbacco, si gioca sull’erba, e allora, dal 2002 (prima ci pensava in modo discrezionale un comitato di notabili), un algoritmo decide che le teste di serie andranno messe in fila sulla base anche dei risultati sui campi in erba. Siamo o non siamo il tempio del Lawn Tennis?
Ed è così che quest’anno, Roger Federer, che di questi campi si può a giusta ragione considerare il re, ora numero 3 del ranking mondiale, ha sopravanzato nella speciale classifica di Wimbledon Rafael Nadal, numero 2 ovunque, ma non qui. Con più di un mugugno da parte del maiorchino. Sostenuto dal numero 1 del mondo, Novak Djokovic, che, come rileva Ubaldo Scanagatta sull’imperdibile sito ubitennis.com, non era stato altrettanto polemico lo scorso anno, quando la stessa regola lo aveva fatto balzare dal posto 21 al 12. Sono comunque i tre grandi ancora una volta a dominare la scena. La Next Gen forse si sarà avvicinata, ma deve ancora dimostrare di saper tener testa ai Big 3 sul palcoscenico principale.
Fra le donne la situazione è così confusa, con Ashley Barty nuovo numero uno del mondo, Naomi Osaka appena detronizzata, una miriade di altre incompiute decise a sfruttare l’occasione, che nessuno si stupirebbe se rispuntasse Serena Williams, anche se da tempo non sembra più lei. Ma Wimbledon, come dimostra la parabola del Court Number 1, non campa di nostalgia.