Libero, 30 giugno 2019
Il festival delle scrittrici rosa
Giovani, belli e muscolosi. Chiamiamoli pure manzi, come recita il titolo di una brochure che ha fatto il giro della rete e attirato fanciulle di ogni età al primo “Festival nazionale del Romance italiano”, nella compostissima Milano, a due passi dal Forum di Assago, mentre in centro sfilava il Gay Pride. C’è il manzo biondo e serio che aspetta le signore al tavolo 118; il chitarrista con occhiali da sole e camicia blu aperta sul petto; quello con il piercing sul capezzolo; il super tatuato con la tartaruga sulla pancia che svetta dai boxer immacolati; il fascinoso del tavolo 13 oliato a puntino e il bel tenebroso moro dallo sguardo obliquo che scatena l’ormone. Uomini per tutte le buongustaie, e meno male che ci sono ancora donne che non temono di dire «viva il macho» e invitano le altre a unirsi al coro. «ECCO IL MIO REGALO» La brochure dei manzi circolata su Facebook era una delle locandine di questo Festival della letteratura del romanzo rosa che ha visto la partecipazione di oltre 150 autori e autrici del settore e dal dépliant al maschio in carne o ossa è stato un attimo. Nel grande hotel alla periferia della città, gremito di stand e di tavoli con le scrittrici che firmavano le proprie opere o consultavano i volumi di altri, le organizzatrici, tra cui Lidia Ottelli, hanno voluto i boys accanto a loro, hanno chiamato tronisti della tv, un ex ballerino di Amici, forse attendevano anche i protagonisti di Temptation Island o qualche modello che va per la maggiore e chi se ne importa se penne famose (che pubblicano con importanti editori) hanno dato forfait perché consideravano l’evento troppo trash. Si sono perse lo spettacolo. «Ciao a tutti. Noi saremo al tavolo 87 e gli organizzatori hanno preparato tantissimi gadget per voi, ve lo dico. Io purtroppo ne ho solo uno», ha postato una delle partecipanti, «ma bello grande. Il mio gadget per il Festival del Romance è il mio cover boy, si chiama Luca». Un’altra iscritta, Daria, ha aggiunto: «Poiché qualcuno si è lamentato che mancasse un volto al nostro tavolo, io vi ribadisco che vi aspettiamo con tanti doni e, soprattutto, con Christian...». E giù faccine sorridenti. Silvia è andata oltre: ha postato sul suo profilo le chiappe marmoree di un giovane manzo dal fisico così perfetto che avrebbe risvegliato i sensi anche alla più attempata delle nonne. Roba da femmine assatanate, obietteranno i radical chic per cui la letteratura rosa vale quasi zero: un genere così frivolo e culturalmente poco elevato da non meritare menzione, a volte. Eppure, signori della critica, pensate: questi romanzetti con un lui, una lei, i baci, il tradimento, la rivale, la sofferenza, il sesso riappacificatore, sono i più venduti al mondo, best seller da milioni di copie che certi soloni abituati a discettare di alta economia si possono scordare. Basta vedere il successo di Barbara Cartland, che fino a 90 anni suonati ha sfornato volumi divorati perfino dai reali inglesi (la Cartland era la nonnastra della principessa Diana). Titoli come “Amore innocente”, “Amore prigioniero” “Amore selvaggio”, oppure “La ballerina e il principe”, “La trama di un sogno”, “Passione sotto la cenere”, al di là del fatto che narrano tutti di relazioni amorose (e forse alla lunga risultano poco originali), hanno aperto la strada al genere pink moderno negli anni poi sfociato nell’erotico, con il boom al cinema e in tv. REGINE Di copie Se la Cartland, con i suoi cappellini fucsia in tinta con l’abito, è stata definita da Vogue «la vera regina del romance, autentico pilastro dei media popolari», in America ha fatto scuola Danielle Steel, 9 figli da 5 mariti diversi, alla quale si deve un’intensa attività narrativa per adulti, fino ad arrivare alla giornalista britannica Sophie Kinsella con il suo “I love shopping”. E tra le italiane? Chissà che dal Festival di ieri non emerga una Cartland nostrana. In fin dei conti, era la prima rassegna made in Italy per autrici e blogger sponsorizzata da “Il Rumore dei libri”, “Leggereditore”, “Kobo”. Donne amanti del lieto fine anche se «la magia è nella storia», non sono le femministe del Metoo e, in un mondo fluido, non si vergognano di dire: mi piace il manzo.