Link, 27 giugno 2019
Fenomenologia di Fabrizio Corona
Nel film del 1983 di Castellano e Pipolo Segni particolari: bellissimo, Adriano Celentano interpreta il ruolo di Mattia, uno scrittore di successo dal fascino tanto irresistibile da spingere ogni donna attorno a lui a cadere ai suoi piedi. La rappresentazione del personaggio di Celentano è talmente carica di sensualità, spavalderia e menefreghismo da risultare comica, quasi ridicola, e questo altro non è se non l’effetto sperato dai registi di questa commedia anni Ottanta. Nel gennaio del 2013, fuori da un’aula del tribunale di Lisbona, dove Fabrizio Corona era stato appena arrestato dopo pochi giorni di una fallimentare ma gloriosa latitanza, in una scena ripresa dalle telecamere della stampa si sente l’imprenditore catanese – e milanese di adozione – rispondere a una domanda posta in portoghese da una giornalista locale “Non parlo francese, mon amour”. Il Mattia di Celentano e il Corona della fuga in Portogallo hanno una cosa fondamentale in comune, un segno particolare: sono bellissimi. Ma non bellissimi in senso alto, greco, belli di quella kalokagathia rassicurante e totale: sono anche profondamente – e involontariamente, nel caso di Corona – comici. Entrambi hanno un’insolenza ridicola e infantile nel manifestare la propria avvenenza talmente sfacciata e fastidiosa da toccare diversi punti, anche in contrasto tra loro, nello spettatore che osserva tali personaggi. Dalla capacità di sublimazione e conversione del proprio egocentrismo e della propria indole narcisista, Fabrizio Corona ha ricavato linfa vitale per un marchio che non si potrà estinguere mai, al massimo potrà trasformarsi.
21 FEBBRAIO 2018 – 20 MARZO 2019, ANNUS MIRABILIS
Il 21 febbraio 2018 Fabrizio Corona torna a dormire nella sua casa di Milano, quella che ci ha mostrato Pif nella puntata de Il Testimone Vip del 2010, con tanto di bagno dotato di salotto, la stessa in cui lo abbiamo visto farsi la barba completamente nudo nel documentario di Erik Gandini del 2009, Videocracy. Ci torna dopo aver passato quasi due anni ai servizi sociali, trascorsi principalmente nella comunità di Don Mazzi (ma non da lui in persona, contrariamente a quanto il sacerdote ha sempre dichiarato), uno dei tanti personaggi popolari che abitano l’universo narrativo di Fabrizio Corona e che non mancherà di venire colpito dalla furia smantellatrice e assetata di verità del Re dei Paparazzi.
Sono trascorsi circa vent’anni da quando Fabrizio Corona è entrato a fare parte, per poi uscirne, dell’entourage di Lele Mora e dieci dalla chiusura della sua prima agenzia fotografica, Corona’s. Nei tredici mesi in cui Corona ha rimesso piede nel mondo della Milano in cui si è formato, quella delle discoteche e degli Autovelox, il suo personaggio è mutato, si è adattato ai canoni del presente con abilità camaleontica. Le agenzie di paparazzi non funzionano più, Corona lo ha capito, è arrivato internet e con lui i social, dove sono gli stessi vip a fotografarsi e riprendersi. Per questo bisogna reinventarsi il business se si vuole restare a galla. In meno di un anno, infatti, Corona è passato dall’essere il Re dei Paparazzi all’essere il Re di Instagram, suggellando il suo sodalizio con i follower attraverso un uso sapientemente esagerato del mezzo. Girando per esempio scalzo in giro per Milano su una bici dalla quale cadrà mentre canta il suo messaggio di rinascita “Viva la libertà”, poi tatuato anche sulla tempia per non sbagliarsi; prendendosela con Fedez in uno slancio di sincerità pacata per la codardia del rapper di Rozzano di fronte alle domande di Maurizio Costanzo; coinvolgendo il figlio Carlos Maria come una sorta di piccolo lord che esplora il mondo del peccato targato Corona’s.
In questi pochi ma intensi mesi, passato dal non poter fare uso dei social al servirsene con disinvoltura e furbizia, Corona si è districato tra una serie di risse tv, una su tutte quella con Ilary Blasi, ha narrato di mirabolanti sedute di sesso con Asia Argento nella storia di unione tra personaggi dello spettacolo più breve e allettante dell’ultimo anno. Soprattutto, ha lanciato Adalet, il suo nuovo, ennesimo marchio da apporre a qualsiasi cosa tocchi, dagli accendini agli anelli, trasformando ogni dettaglio della sua vita in un prodotto da acquistare. Poi però è arrivata la caduta vera, non quella simpatica che lo fa ruzzolare giù dalla bici tra le rotaie del tram: quella che gli è costata la tanto amata e agognata libertà. In collegamento con L’isola dei famosi, Corona si cimenta in una apostrofe spietata alla storia d’amore di Riccardo Fogli, che reagisce con un pianto straziante alle presunte corna della moglie. Una scena troppo forte persino per il cinismo sfrenato del Re del Gossip, costretto a chiedere scusa e tornare in carcere.
“FIGHE”, LE DONNE E CORONA
Nella narrazione di Corona, o nello storytelling come a lui piace definirlo, c’è un elemento attorno al quale ruota tutto il magnetismo di questo personaggio, ovvero il genere femminile e la sua completa disposizione alle richieste del Re – del Gossip, dei Paparazzi, del Sesso, dei Social, dipende dal contesto. Le donne che popolano la sua vita non sono semplici compagne e nemmeno co-protagoniste della sua grande mitopoiesi: le donne sono un optional sfarzoso e opulento per la carrozzeria della macchina di lusso che ci sta vendendo. Non c’è Corona senza una ragazza che gli stia appiccicata addosso, non c’è un racconto della sua epica personale che non comprenda la presenza di una stupenda, invidiabile, gigantesca figa, come lui stesso mette in chiaro nel capitolo più discusso del suo ultimo capolavoro editoriale Non mi avete fatto niente – anche questo peraltro tatuato a dovere sul cranio.
Dalla moltitudine di fighe che lo circondano sempre e comunque, all’ausilio di pillole per poter garantire prestazioni portentose anche dopo i danni del carcere, fino ai ritratti singoli e impressionisti di tutte le più importanti donne che hanno popolato il suo universo vizioso, Corona non può e non deve rinunciare mai alla rappresentazione di sé attraverso questa immagine di satirismo innaffiato da negroni e Cialis. Nina Moric, la madre di suo figlio, la prima vera regina che lo abbia accompagnato sul trono, che ora come una matrona antica ricopre il ruolo sia di genitrice devota che di donna da rispettare e proteggere. Belen Rodriguez, la gorda, che sempre ritorna nei racconti e mai verrà dimenticata – tanto da apparire nel testamento alla fine del libro come proprietaria legittima niente di meno che del cuore di Fabrizio –, l’unica donna che Corona dichiara di amare ancora, colei che a suo tempo vestì i panni di Bonnie quando Corona era Clyde, lei che è la donna più desiderata d’Italia e che solo con l’uomo più desiderato – e discusso – d’Italia può trovare davvero la sua ragione d’essere.
Silvia Provvedi, vittima e complice di un Corona che dà spettacolo della sua insolenza ancora una volta, il Corona che dice quello che pensa, che odia e che straparla e che passa per un bastardo senza cuore, ma che si capisce bene che in fondo, quella giovane ragazza con gli occhi blu un po’ l’ha amata, di un amore pazzo e disperato, maledetto come solo lui sa essere, così incontrollato e senza freni. E poi, ancora, Asia Argento, punta di diamante di questo storytelling di odi et amo, anime “rock” dai jeans strappati e dalle ali tatuate sul pube, dannate e perseguitate da un pubblico che ti insegue perché ti vuole e poi ti sputa via perché gli fai schifo. Tatuaggi che si fondono, dannazioni che si incontrano, Asia è l’unica ad avergli chiesto di leggere i suoi libri dopo che Corona l’aveva presa lì su quel tavolo della cucina in un impeto di passione – richiesta peraltro piuttosto coraggiosa, quella di Asia.
Ma ci sono anche le donne che lo detestano, così profondamente da lasciar intuire un velo di attrazione. Simona Ventura, con cui ha un trascorso legale, Barbara D’Urso, e poi Silvia Toffanin e Ilary Blasi, entrambe accomunate dal passato professionale ma animate da una forma di disistima diversa per questo personaggio. Silvia Toffanin non manca mai di lanciare a Corona, quando ospite nel suo salotto, occhiate di apprensione e giudizio, anche fastidio a tratti e disgusto, imbarazzo, uno scuotimento costante di capo materno e deluso come a dire “figlio mio, sei proprio irrecuperabile”, così come ha anche confermato Belen – e cos’è questa se non la messa in scena di quello che pensano un po’ tutte le donne quando lo guardano che si fa sbattere in carcere per l’ennesima volta? Ilary Blasi invece è avvelenata da un odio antico, un vecchio dissapore mai aggiustato, un sassolino nella scarpa che prima o poi doveva levarsi. Ha aspettato tredici anni per avere il suo topo in gabbia, per vederlo contorcersi dal dolore mentre il veleno faceva effetto, microfoni abbassati, pubblico femminile in visibilio per la scena tragica degna di Euripide in cui una donna assetata di vendetta divora l’uomo colpevole senza nessuna pietà, perché si sa che la vendetta è un piatto che va servito freddo. Anche in quel caso però, Corona esce vincitore, nonostante l’apparente sconfitta inflittagli dalla first lady del Pupone: “Non mi avete fatto niente”, ed è vero, perché la sera di quella famosa puntata del Grande Fratello VIP Corona su Instagram ha raggiunto un milione di follower.
CORONA PADRE, CORONA FIGLIO
Altro tema legato a Fabrizio Corona che piace sempre a tutti tirare fuori quando si parla di lui, la sua provenienza tutt’altro che disagiata, anzi, proprio la sua nascita in un ambiente culturalmente molto stimolante e la sua deriva così poco consona alla storia della famiglia. Un elemento biografico che si traduce in un senso di consapevolezza del mestiere, in frecciate da lanciare ai nemici durante i vari scontri come “il vero giornalismo fa questo, un vero giornalista fa quello”. Nella sua missione personale di scalata del successo, c’è una sottotrama di professionalità, questa etica lavorativa che non rispecchia tanto i valori morali di un comportamento corretto ma piuttosto una sete di verità che altro non è se non il fuoco sacro che anima il giornalismo, quello fatto come dio comanda. Attorno a Fabrizio Corona poi, ci sono una serie di personaggi importanti, storici, che oltre alle figure autorevoli del padre e dello zio ricoprono questa sorta di ruolo guida, di maestri ma anche di nemici, di compagni e di allievi.
C’è ovviamente Lele Mora, che di lui dice sempre “Fabrizio è malato di soldi”. Un personaggio controverso nella storia di Corona, sia per i dubbi torbidi sulla natura della loro relazione, sia per il periodo di cui Mora è stato protagonista, con le vicende di Vallettopoli e i processi che li hanno coinvolti entrambi, legandoli a doppio filo a questo periodo così colorito della nostra storia nazionale. Maurizio Costanzo, tanto amato e rispettato da Corona da tatuarselo sulla testa, che a quanto pare è la zona in cui si segna tutti i promemoria più significativi. E poi c’è Gabriele Parpiglia, altro grande amico-nemico di Corona, un po’ come Massimo Giletti che nell’ultimo anno è corso ad arruolarsi nelle fila dei difensori di Fabrizio.
Ma Corona non è solo amico, collega, nemesi o figlio ma anche padre, e questa estate, nel picco del suo rilancio professionale su Instagram, ha deciso bene di coinvolgere anche l’erede dell’impero del gossip, Carlos Maria. Come un fanciullo nel pieno della sua Bildung esistenziale e sociale, Carlos è al contempo maestro e allievo del padre, tanto da scrivere la prefazione dell’ultimo libro in qualità di voce autorevole e mente sopraffina, come al padre piace spesso ricordare. Il ragazzo è evidentemente timido, riservato, un po’ a disagio rispetto alla voce di Corona che lo incalza a mettersi anche lui alla mercè del pubblico, a diventare anche lui un prodotto da vendere, con un suo marchio personale. Sdraiati sul letto in una casa di vacanza in Puglia, Carlos si ritrova a doversi raccontare e a dover rispondere a una serie di domande incalzanti di Corona senior, impaziente di mostrare a tutti la purezza e l’eleganza di questo giovane virgulto pronto a essere lanciato nell’iperuranio coroniano.
CORONA BRAND, CORONA PERSONA
Vivi ora, vivi al massimo, tatuati la testa, circondati di fighe, fai tanti soldi, fottitene dello Stato e fottilo, quando puoi, con tutti i mezzi che hai a disposizione. Cosa è Fabrizio Corona se non la quintessenza di questo prototipo umano italico, del piccolo uomo ambizioso che riversa in questa figura la sua frustrazione sublimata nella speranza che un giorno, magari, anche lui sarà a letto con Belen Rodriguez a bere negroni e a contare le mazzette su lenzuola di seta nere, con lo specchio sul tetto e i pettorali che ancora pulsano. Delle sue carcerazioni, Corona ha saputo come sempre tirare fuori il meglio, come un Re Mida che trasforma qualsiasi cosa tocchi in uno slogan da stampare su mutande da uomo attillate e con l’elastico grosso. Corona’s, Si puede, Adalet: ciascuno di questi marchi nati dal fallimento umano e professionale di una persona condannata a passare mesi o anni in carcere hanno il potenziale semiotico di rappresentare proprio quel senso di ingiustizia e fastidio verso le istituzioni che accomuna molti.
Perché cosa sarà mai fottere lo Stato, quando è lo Stato stesso che fotte ogni giorno i suoi cittadini? E quindi, Corona è fondamentalmente un innocente, una vittima di un trattamento inadeguato che prende forma in un accendino, una maglietta con un diavolo indossata da una modella tatuata – nonché debitamente scopata – e nelle idee che questa persona riesce così bene a reificare e monetizzare. Corona non perdona, Corona è uno stato mentale, un’attitudine verso la vita, una spettacolarizzazione di una criminalità all’acqua di rose, giusto il necessario per legittimare centinaia di tatuaggi addosso e farti pensare cose come “Ma in effetti cosa avrà fatto poi di così tanto male?”. Lui che si è nutrito del successo esagerato, immeritato, fastidioso delle celebrità per vestire i panni del “Robin Hood che ruba ai ricchi per dare a se stesso”, lui che ha in qualche modo ristabilito gli equilibri nell’universo di chi si è scordato da dove viene a colpi di foto scandalose e segreti sbandierati.
Cosa rimane di Fabrizio Corona la persona, allora, mi viene spesso da chiedermi: quando si spengono le luci e nel suo letto di casa non c’è una Zoe Cristofoli a intrattenerlo, quando magari ha un po’ di febbre e vorrebbe solo un piatto di pastina in brodo, quando si sta allacciando le scarpe e inciampa per sbaglio o quando ha voglia di essere solo un essere umano senza per forza dovercela avere sempre e comunque con il mondo infame. Cosa rimane dietro al brand Fabrizio Corona non lo so, ma vorrei tanto saperlo. Nel frattempo, in quei rari e brevi momenti in cui mentre ci sta dando in pasto un ennesimo pezzo della sua vita, si riescono a intravedere anche un po’ di noia e di stanchezza. E l’immagine del maudit senza pace né padroni scorre indisturbata a comporre la narrazione di questo personaggio così ben costruito.