la Repubblica, 30 giugno 2019
Intervista a Qaurtararo
Massimo Calandri ASSEN – Fabio Quartararo, senza accento: ha radici siciliane. I bisnonni un secolo fa lasciarono l’isola – Palermo e Calatafimi, provincia di Trapani – a bordo di una nave diretta a Tunisi. «Fuggivano dalla miseria e inseguivano una nuova vita: succede anche oggi, ma a rotte invertite». Lo racconta il papà del ventenne prodigio: Etienne è stato un buon pilota di moto ed è nato in Francia, dove il padre – tornitore – era approdato alla ricerca di lavoro dopo la dichiarazione di indipendenza tunisina del ‘58. «Mia moglie di cognome fa Adamo. In casa dei suoceri si parla ancora – e si cucina – in siciliano puro», spiega Etienne. Che ha le mani spesse, fabbrica chiavi, mentre Martine è parrucchiera: a Nizza, dove è nato anche Fabio. Famiglia semplice, religiosa, accogliente, allegra. Italiani. E naturalmente francesi, ma anche un po’ spagnoli perché Fabio ha cominciato a correre sulle piste catalane che aveva 5 anni ed è lì che lo hanno soprannominato El Diablo: parla benissimo tutte e tre le lingue più un buon inglese. Un arcobaleno di ragazzo, sempre sorridente. E con un talento straordinario. Ha appena stracciato il record della Cattedrale della Velocità e parte in pole, è la terza volta da rookie: dicono che solo lei possa battere Marquez. «Non sono pronto per vincere una gara, non ancora. Mi basterebbe il podio, giuro. Però se capita l’occasione...». In prima fila, con Viñales e Rins, fate 67 anni in 3. Invece Rossi, che sembra in grande difficoltà e comincia dalla quinta, insieme a Dovizioso (11°) arriva a 77. Sta per finire un’epoca? «Io so solo che tutto questo è un sogno e non voglio svegliarmi. Valentino rimane l’idolo della mia infanzia, un campione eterno. Ho ancora tanto da imparare: da lui, Dovizioso e Marquez, che è il punto di riferimento di questi anni. Anche se come stile mi sento di assomigliare più a Lorenzo: preciso, dolce, costante, aggressivo quando serve». Un predestinato: nel 2015 hanno cambiato il regolamento, per farla correre nel motomondiale che non aveva 16 anni. Però poi, che delusioni. «Sono state stagioni difficili: venivo da due successi consecutivi nel campionato spagnolo, c’era molta pressione. Il primo anno in Moto3 ho fatto bene a cambiare squadra ma è stato un errore passare dalla Honda alla Ktm. Cattivi risultati, tanta esperienza. Quando in Moto2 sono andato alla Speed Up e mi sono ritrovato in una “famiglia"’ italiana – quella di Luca Boscoscuro – è cambiato tutto. Con la prima vittoria nel motomondiale, a Barcellona, è arrivata la svolta». La data (17-6-2018) se l’è tatuata sul braccio. Insieme a tante immagini religiose, e a due parole sulle caviglie: “Family first”, prima la famiglia. «Quanti sacrifici. Per anni abbiamo fatto la spola tra Nizza e le piste in Spagna, mio padre non era certo ricco e per fortuna ci hanno dato una mano gli amici. Da piccolo era molto divertente, da adolescente ho un po’ sofferto. Adesso è tutto bellissimo». Al suo esordio in MotoGP molti storcevano il naso. «Io non ho mai dubitato, è da quando sono bambino che aspetto questo momento. Quando mi è stata offerta una Yamaha, in un team importante come Petronas, ho capito che non potevo fallire. Ma ho affrontato questa avventura così come mi ha insegnato mio padre: con naturalezza, pensando prima di tutto a divertirmi». Quando butterà Marquez giù dal trono? «Quest’anno l’obiettivo è essere il miglior rookie. Mi basterebbe chiudere tra i primi 7 nella classifica finale. Magari qualche altro podio, dopo il 2° posto di due domeniche fa. Ma prima o poi, sì: voglio un vincere un mondiale». Quartararo, senza accento. «Fate voi. Sono francese, preferisco parlare in spagnolo, penso in italiano. E mi piace viaggiare. Correre, vivere: sono solo un ragazzo».