29 giugno 2019
La scoperta del Reddito: ci sono meno poveri
Nei giorni scorsi sono stati resi noti gli ultimi dati sul reddito di cittadinanza: al 31 maggio il numero totale di domande presentate era di 1 milione e 252 mila, di cui 674 mila accolte, 277 mila respinte e il resto (301 mila) sospese o ancora da elaborare. Complessivamente le domande accolte sono circa il 71% di quelle analizzate.
Il ritmo delle domande è in netto calo: sono state 820 mila il primo mese (marzo), poi 243 mila (aprile), infine 188 mila (maggio). Il governo prevede che, alla fine, le domande accolte saranno circa 1 milione, ovvero parecchie meno di quel che si attendeva.
Poiché il numero di famiglie in condizioni di povertà assoluta, secondo l’Istat (indagine 2018), si aggira intorno al milione e 800 mila, parrebbe che i conti non tornino. Le domande già accolte (674 mila) sono poco più di 1/3 del numero di famiglie povere. Aggiungendo quelle già presentate ma non ancora valutate si arriverà intorno a 884 mila domande accolte, meno della metà (48.5%) del dato Istat. Infine, dando per buona la previsione del governo si dovrebbe arrivare a 1 milione entro fine anno, poco più della metà (54.9%) del dato Istat.
Qualcosa sembrerebbe non tornare. Possibile che a tre mesi dal varo della legge, pur includendo nel calcolo le numerose domande già presentate ma non ancora accolte, si sia sotto il 50%? Quali possono essere le ragioni di una discrepanza così macroscopica?
Una prima ragione, abbastanza ovvia, è che la definizione di povertà assoluta dell’Istat non corrisponde alla definizione implicita nella legge sul reddito di cittadinanza. Le differenze fra le due definizioni sono tantissime, ma la più importante è che la definizione Istat lavora sul potere di acquisto del reddito, e quindi tiene conto del livello dei prezzi della zona in cui la famiglia risiede, mentre la legge considera solo il reddito nominale. Questa è la ragione principale per cui, finora, le domande accolte nel Nord sono state molte di meno dei poveri assoluti residenti in tali regioni; e viceversa quelle del Mezzogiorno, che sono state molte di più. Insomma, il reddito di cittadinanza è servito ben poco ai poveri delle regioni del Nord, specie se abitanti in grandi città: chi è povero al Nord risulta tale se si tiene conto del livello dei prezzi (definizione Istat), ma cessa di esserlo se si ignora il costo della vita (definizione del governo).
C’è però anche una seconda ragione della discrepanza, una ragione che troppo spesso si dimentica. Fra i requisiti della legge vi è la residenza stabile in Italia da almeno 10 anni, un requisito che penalizza severamente sia gli stranieri, sia gli italiani senza fissa dimora. Le prime cifre circolate indicano che fra le domande accolte gli stranieri siano circa il 10%, mentre l’Istat ha stimato che le famiglie straniere in condizione di povertà assoluta siano ben il 31.1%, nonostante gli stranieri siano meno del 9% della popolazione. In altre parole: le domande sono molte meno delle attese anche perché la maggior parte degli stranieri poveri non ha fatto domanda, ben sapendo di non avere i requisiti.
Se teniamo conto di questo fattore le cifre si avvicinano. Le famiglie di italiani in condizioni di povertà assoluta sono 1 milione e 255 mila, le domande di famiglie italiane già accolte sono circa 600 mila, ma potrebbero salire a circa 900 mila entro la fine dell’anno. In questo caso lo scarto sarebbe di 3-400 mila famiglie, che risultano povere secondo l’Istat ma non richiedono il reddito di cittadinanza. In breve: fatto 100 il numero di famiglie povere Istat, solo circa 70 fanno domanda.
Che cosa ci dice un dato del genere?
Essenzialmente che non è infondato il sospetto che i poveri effettivi siano sensibilmente di meno di quello che si potrebbe dedurre dai dati Istat. È perfettamente possibile che diverse famiglie risultino povere semplicemente perché il lavoro in nero di alcuni membri non viene dichiarato, con conseguente sottostima del reddito familiare complessivo. È ragionevole pensare che il timore di sanzioni (e di perdere i redditi in nero) abbia indotto molti a non presentare domanda.
Ma è anche possibile che questo timore svanisca (forse sta già svanendo) man mano che dovesse rafforzarsi la convinzione che i controlli saranno rarissimi, che i centri per l’impiego non funzioneranno, e di conseguenza il rischio di ricevere offerte di lavoro che si preferirebbe non ricevere (ma si è tenuti ad accettare) è bassissimo. È possibile, in altre parole, che il trend delle domande si affievolisca ancora un po’ nei prossimi mesi, ma poi riprenda vigore ove il governo non potesse o non volesse far scattare controlli e sanzioni.
Se queste valutazioni hanno un qualche fondamento, allora sembra inevitabile trarne due conclusioni. La prima è che il problema della povertà, in Italia, riguarda soprattutto gli immigrati (sono povere più di 1 famiglia straniera su 4), e il reddito di cittadinanza lo aggrava. La seconda è che il tasso di povertà degli italiani non solo è molto minore di quello degli stranieri, ma è probabilmente sovrastimato. Per l’Istat le famiglie italiane povere sono il 5.3% (circa 1 su 20), ma le domande del reddito di cittadinanza pervenute fin qui suggeriscono che siano dell’ordine del 3.7% (1 su 27).
Sempre troppe, ovviamente, ma comunque un po’ minori delle cifre pre-crisi, e molto minori di quelle degli stranieri: il problema della povertà nel nostro paese, più che un dramma italiano, è un aspetto cruciale del problema migratorio.
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