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 2019  giugno 29 Sabato calendario

Intervista a William Boyd

«Innamorarsi è la sola avventura illogica, la sola cosa che siamo tentati di credere soprannaturale, nel nostro mondo scontato e ragionevole. L’effetto è assolutamente sproporzionato alla causa». Da questa epigrafe di Robert Louis Stevenson nasce L’amore è cieco (Neri Pozza), il nuovo romanzo di William Boyd, autore di narrativa letteraria, il pluripremiato Ogni cuore umano , thriller alla Graham Greene, Inquietudine , e perfino un sequel di James Bond,Solo , autorizzato dagli eredi di Ian Fleming. Il 67enne scrittore di origine scozzese, che presenterà la sua ultima opera domani alla Milanesiana, in effetti ha affrontato ogni genere con identica maestria: e ora ci riprova con un romanzo storico e romantico che richiama i classici dell’Ottocento. «Il segreto è non annoiarsi », rivela Boyd nella sua casa di Chelsea. «E per non annoiarmi cerco di vivere più vite che è possibile, poiché nessuna arte esplora la condizione umana meglio di un romanzo».

Da dove arriva l’ispirazione per la sua nuova storia?
«Dalmioamore perlamusica.Ne ascolto sempre, di tutti i tipi, classica, rock, jazz, folk. E rimango emozionato da certibrani, certi passaggi, come capitaa tutti. Ungiorno mi sono chiesto cos’è esattamenteche fa scattarela commozionee, armato di sette pezzi musicali, sono andato a interrogareun amico, compositore di colonnesonore».
Che cosa ha scoperto?
«Che è qualcosa diinaspettato a commuoverci:quandocrediamo che lamusica vada in una direzione, va in un’altra, e ciò suscita le lacrime. Non so se reggerebbecome teoria scientifica.
Omusicale.Maha funzionatocome scintillaper il mioromanzo: che cosa succedese un compositore scrive musicache fapiangere lagente e qualcuno gliela ruba?».
Ma il suo è anche o principalmente un romanzo sull’amore.
«Sull’ossessione d’amore, sul sentimentoche fa impazzire, sulla magica forza che va contro la logica e vince.La musica resta in sottofondo.Mi succede spesso di partire per scrivere uncerto tipo di romanzo e finire per scriverneuno almeno inparte differente.Il motivoè che impiego due annia farericerche e un altro annoa scrivere: in tutto questo tempo il progetto si evolve, cambia, si trasforma».
Le due epigrafi che ha scelto per la sua storia, una frase della moglie di Cechov e quella di Stevenson, significano che ci sono aspettative esagerate sull’amore, che non vale la pena di perdere la testa per un’altra persona?
«Al contrario. Il messaggio è che l’amore sfugge alnostro controllo: è un elementosoprannaturale, imprevedibile, dunque anche difficile da spiegare».
L’amore è cieco, in sostanza, come afferma il titolo?
«Bastaguardare in giroper ilmondo,o anche soltanto nella nostra cerchiadi amici, eognunodi noipuò trovare confermadi questa espressione entrata nellinguaggio fino a diventare luogocomune.Con un fondo di verità, cometuttii luoghicomuni».
Oltre a parlare di musica e amore, questo è un romanzo d’avventure, quasi picaresco: di cappa e spada, come si diceva una volta.
«Per tornare alle epigrafi: volevo scrivere un romanzo stevensoniano, ispirato dai libri dell’autore di L’isola del tesoro , in cui al protagonista, Broder Mancur, nesuccedono di tutti i colori, in un turbinio di avventure dalla Scozia alla Russia, passando per Trieste e finendoalleisole Andemane. Un romanzo alla Stevenson, ma con la lente di ingrandimento di Cechov. Come Stevenson, io sono scozzese; e su Cechov ho scritto saggi e articoli, sono un suo grande fan. Ho voluto mescolarei miei due amori letterari».
C’è anche un duello che fa pensare a "I duellanti", lo splendido racconto di Conrad.
«Da cui fu tratto il primo film diretto da Ridley Scott, girato in Francia, in Borgogna, vicino a dove mia moglie ed io abbiamo una casa. Duellare fino alla morte per amore:altro esempio di quanto sia irrazionale e incontrollabile tale sentimento».
A proposito dei molti luoghi in cui è ambientato, li ha visitati tutti per le sue ricerche, prima di iniziare a scrivere?
«Tutti tranne le isole Andemane. E mi è piaciuto molto scoprire Trieste, la città dove ha vissuto un altro scrittore che amo, James Joyce, una città che sembra più asburgica che italiana, carica di spettri, ombre, echi del passato».
Come i romanzi classici, il suo è scritto al passato remoto. Cosa pensa dei romanzi storici di Hilary Mantel, scritti invece al tempo presente?
«La ammiro molto, sono libri bellissimi. Mascrivere al presenterende più difficili i flash-back sul passato, di cui io faccio gran uso. In generale,credo di trovarmimeglio conil passatoremoto, sebbeneabbia scritto qualcosa anche al presente».
Il problema, a proposito, è che lei sfugge alle categorie: ha scritto romanzi letterari, storici, romantici, comici, thriller e perfino sull’agente 007.Comefa?
«Credocheabbia a chefare conilmio temperamento.Èvero,imieiromanzi sono uno diverso dall’altro. Ci sono scrittori che scrivono, benissimo, sempre lo stesso tipo di libri, ma non è il miocaso. Dipendedal fatto che, investendoci treanni ditempo, ho bisogno di essere stimolato dalla storia che sto scrivendo.E se non è unastoria nuova,miannoio».
Scrivere, come diceva D. H.
Lawrence, è comporre il libro della vita?
«Certo: significa immergersi in molteplici personalità, vivere più esistenze di quella che ci è stata concessa dallanatura. Dunque perché limitarsi a rivivere sempre la stessa?
Adesso,appena uscito da questa storia dell’Ottocento,misono immerso nel 1968, l’anno in cui è ambientato il romanzoche hocominciatoa scrivere in questi giorni».
Allora cosa vuol dire essere uno scrittore?
«Perme uno scrittore, se è serio, se non scrive solo libri commerciali, può esplorarela condizione umana meglio diquanto faccia ogni altra forma artistica. La vita è misteriosa. Vogliamo comprendere meglio lo strano pianeta in cui viviamo? Ebbene, leggiamo un romanzo».