Tuttolibri, 29 giugno 2019
Gli scrittori e i colori
Il grande poeta francese Yves Bonnefoy diceva che i colori sono«i minerali dello spirito». E Wittgenstein prima di lui: «I colori stimolano alla filosofia». Il Nobel polacco Czeslaw Milosz notava la singolare povertà delle parole quando si parla di colori. Come giocarsela con maestri come William Turner, van Gogh, Gauguin, Kandinsky, Klee, Albers? In realtà gli scrittori hanno sempre provato ad emulare i pittori, e con ottimi risultati. Carte alla mano, lo dimostra Lino Di Lallo, architetto-pittore-poeta-performer-docente abruzzese trapiantato a Firenze, che sa come far scattare la scintilla tra i giochi di parole e le infinite scale cromatiche di cui è ghiotto. Anni fa aveva raccontato in Quo lapis? Inventare una scuola colorata (Einaudi) le sue sperimentazioni didattiche per liberare la creatività giovanile. Autore di centinaia di acquarelli-collage che sono altrettanti antidepressivi naturali, ha dragato intere biblioteche , compresi i trattati scientifici e i dizionari dialettali, per andare a scovare i colori inventati («fantasiati», dice lui) dagli scrittori, da Dante a Zanzotto, e li ha ordinati in un pirotecnico catalogo, Tavolozza d’autore, di cui sono usciti i primi due volumi, dalla A alla P. Il terzo e conclusivo è atteso per l’autunno. Sono tutti arricchiti da composizioni dell’autore e funambolici giochi di parole e aforismi. Citerò soltanto: «Ogni palindromo è un pelandrone».
Anzitutto: come assegnare un colore ai sentimenti o ai concetti astratti, che sfumano nella filosofia? Uno dei più belli è il «colore di amore e di pietà», che Carlo Dossi prende paro paro dal meraviglioso verso del Canzoniere di Dante: «Onde venite, chè il vostro colore /par divenuto di pietà simìle?» (La cosa curiosa che nell’800 è diffuso in tutta Italia un «color de Dante»: un giallino, simile alla concia della pelle di daino). Per Walcott esiste un grigio che è il colore dell’oblio. Marinetti intravede un «orizzonte color disperazione». Per Antonio Baldini il colore «freccia del tempo» dà sul «color tango». Emilio Cecchi in America Amara si inventa un «color di tempo svanito». Hanno un colore anche le ore. Maria Corti parla di un giovane pescatore che ha gli occhi «colore di mezzanotte». Octavio Paz azzarda un «colore di giorno rapido che salta». C’è ovviamente anche un «color lunedì», prodotto dalle troppe libagioni della domenica (Delio Tessa). E c’è anche il colore che non c’è: il «fuffù».
Amplissima la gamma degli azzurri: un «azzurro edicola religiosa» (Peter Handke), ma anche un «azzurro lampada da puttana lussuosa» (Manganelli), un «azzurro ricino» (Marinetti), un «azzurro semifossile» (Zanzotto), un «azzurro marca da bollo» (Silvio D’Arzo). In Lolita, Nabokov parla di un’auto «color Azzurro Sogno», mentre per Gozzano le iridi sincere della signorina Felicita sono «azzurre d’un azzurro di stoviglia».
Aggressivi i gialli: si va dal «gialdòn troja» di Gadda al «volantino giallo-pus» di Joyce e al «giallo odio» di Flaiano. Variegata la scala cromatica legata all’eros. Fosco Maraini parla dei «colori dell’alcova» a proposito di un giardino di rododendri raffinati e indolenti, «qualcosa tra la carne e la seta». Sebastiano Vassalli depreca i «colori pornografici» perché inutilmente provocatori. Andrè Breton a proposito del pittore Franz Marc parla di «colori sessuali». Molto frequentato anche il «colore desiderio» (D’Annunzio, ovviamente). Ci sono anche i «colori allucinati», tra il ciano e il magenta, di cui parla Vittore Branca a proposito della Sistina.
Carlo Porta ci propone un colore delle loffe, un giallo livido che lui attribuisce a un prete lungo e magro che presta a usura. C’è un «peto di lupo» nelle fiabe del Basile. Mentre per il vocabolarista piemontese Sant’Albino il «color dii pet» è semplicemente un color d’acqua fresca. A Bologna si registra un «culàur ed scorràzza inbutiglié», di scorreggia imbottigliata, poi citato da Arpino in Domingo il favoloso. Per restare nell’escrementizio, Luigi Malerba conia un «color merdastro» (l’acqua d’un fossato). Per il milanese Cherubini il «color merda de povertà» è «sfarinato, dilavato, squallido». Da Istanbul, Orhan Pamuk tenta un «color merda d’oca».
Per i virtuosi della lingua non esistono colori impossibili. Manganelli si esalta per un vertiginoso «colore di una medusa vista in uno specchio illuminato da una candela estremamente lontana». Gadda parla di un «color tacco visto dal di sotto». Tra chi scrive d’arte, Giovanni Testori è tra i più scapricciati. A proposito del Ceruti parla di una luce da lungo tramonto che ha colore di «lingua di cane affamato». Gli fa eco Cesare Brandi con un rosa «come nelle fauci di un cane che ha sete». Tra i vertici dell’immaginifico, il sommo anglista Mario Praz, quando scrive di un «azzurro come una vena sul seno della Madonna». Per azzeccare un colore, non si rispettano nemmeno i Padri della Patria. Delio Tessa conia un «color Manzoni» che è un «grigio polvere, piuttosto triste»; in Marinetti c’è «un salone color Promessi Sposi» non meno deprimente.
Come bambini golosi, possiamo saltare, matti di gioia, su centinaia di perle colorate che valgono da sole intere annate letterarie. Ha ragione Di Lallo quando parla di una «vertigine cromatica linguistica, con invenzioni ardite dagli esiti espressivi inauditi»; o, con Borges, di una «straordinaria impertinenza d’immaginazione e di linguaggio». La sfida tra pittori e scrittori è davvero elettrizzante e vede solo vincitori. Il primo premio va di diritto a Vladimir Nabokov per un aggettivo di alcune decine di sillabe inventato per il romanzo Il dono: «adamantinopalebanocramarantaranciaaccesolivastrazzurrooltremarindacocobaltavorio». Per sua fortuna ha trovato una traduttrice come Serena Vitale.