il Fatto Quotidiano, 29 giugno 2019
Contro l’autonomia
di Marco Palombi
Gianfranco Viesti, classe 1958, barese, di professione economista, ha un merito indiscusso: è stato il primo ad aprire il dibattito di merito attorno alla cosiddetta “autonomia regionale”, da lui ribattezzata in un libro di successo “secessione dei ricchi”. Matteo Salvini e la Lega, com’è noto, spingono per un’approvazione rapida delle intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna: com’è altrettanto noto, però, in pochi conoscono il dettaglio di quanto contrattato dalla ministra leghista degli Affari regionali Erika Stefani coi governatori, mentre un documento del Dipartimento degli affari giuridici e legislativi (Dagl) di Palazzo Chigi, datato 19 giugno, smonta punti assai rilevanti dei testi. Proprio col professor Viesti, allora, abbiamo fatto il punto della situazione.
Giuseppe Conte dice che mercoledì “si chiude”, solo che nessuno sa di cosa parla: persino molti ministri non hanno visto l’ultima versione delle bozze di intesa, quella del 16 maggio.
«La segretezza dell’iter è il vero tema. Si parla di autonomia regionale, che per me è un’ottima cosa, ma qui la chiave è la parola “differenziatra”, che poi in questo caso significa la devoluzione di poteri sterminati (con relative conseguenze finanziarie) a tre regioni».
Perché questa segretezza?
«È un’oscurità in parte voluta: i promotori non hanno interesse a che ci sia una discussione approfondita. Basti dire che stiamo smembrando la scuola nazionale per capire qual è il problema. C’è un fumo che nasconde la realtà, mentre una cosa del genere dovrebbe avvenire col massimo di trasparenza e di dibattito. Per questo continuo a chiedere alle tre Regioni coinvolte e alla ministra che rendano noti tutti i documenti. Nessuno mi si fila». Pure il dibattito politico sull’autonomia è zero.
«Non c’è opposizione politica a questo progetto: Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia, cioè l’opposizione parlamentare, sono silenti. Adesso, poi, con le scuole chiuse e il profilo basso dei partiti è più facile accelerare».
I 5 Stelle sembrano un po’ recalcitranti.
«Resta da capire cosa faranno: non so se avessero capito cosa firmavano inserendo il regionalismo differenziato nel contratto di governo, ma ora hanno sotto gli occhi le conseguenze di quel progetto».
Ora, però, c’è il documento di Palazzo Chigi portato dal premier all’ultima riunione di governo.
«È importantissimo perché sottolinea diverse criticità rilevantissime. È una danza in tre passi, uno schema in tre colpi se parlassimo di boxe. Intanto si parte dall’enormità delle competenze richieste da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna con una doppia domanda: 1) ma così non si finisce per creare nuove regioni a Statuto speciale al di fuori della Costituzione? 2) ma se diamo a tutte le Regioni quella quantità di competenze non stiamo cambiando di fatto l’articolo 117 della Carta? E questo, diciamo, è il gancio destro della parte giuridica. Poi c’è il gancio sinistro».
Di che parliamo?
«Della parte economica. Se uno guarda le parti delle intese tra governatori e la ministra Stefani già pubblicate è chiaro che, essendo un gioco a saldo zero, se vanno più soldi a me, ne andranno meno a te. È la “secessione dei ricchi”. Questo è lo scopo del gioco: il Veneto lo ha detto in modo esplicito, la Lombardia meno».-
Manca il terzo cazzotto.
«È sul ruolo del Parlamento. Il documento definisce “ineluttabile” il coinvolgimento delle Camere e mi sembra ovvio date le conseguenze sulla democrazia italiana»
Però anche il Titolo V della Costituzione, quello modificato dal centrosinistra, è vago sul modo in cui le Camere entrano nel processo.
«È vero, non c’è una legge di attuazione. La tesi dei promotori è assimilare le intese con le Regioni a quelle che lo Stato firma con le religioni: forse può avere un suo senso giuridico, ma nella sostanza stiamo cambiando talmente a fondo il modo in cui funziona la democrazia in Italia che dobbiamo stare attenti e discuterne a fondo».
Come si procede?
«La sfida che cerco di lanciare è questa: ma se l’autonomia fa bene a tutti, come dicono i promotori, perché ne nascondono i contenuti? La Lombardia chiede 131 competenze tra legislative e amministrative: sono tutte richieste ragionevoli? La risposta è: ce le dovete dare perché siamo più bravi. Ma pure questo va dimostrato: io non credo che per un ragazzo lombardo sia meglio avere il preside dipendente dall’assessore e i professori dalla Regione, è peggio. Dicono Veneto e Lombardia: c’è stato un referendum. Io rispetto i molti veneti e i pochi lombardi che hanno votato, ma il referendum serve a chiedere, la potestà di concedere spetta al Parlamento».
Cosa dovrebbero fare le Camere?
«Intanto avere il potere di emendare il testo e poi di intestarsi il controllo del processo: troverei discutibile che il Parlamento accettasse bozze di intesa scarne che rinviano le scelte di dettaglio a una commissione paritetica Stato-Regioni che poi rimodella la forma dello Stato attraverso Dpcm immodificabili. Serve una clausola di pieno controllo da parte dello Stato. Le pre-intese firmate da Gentiloni duravano 10 anni. Ora non hanno scadenza. È una cosa importante, ma non decisiva: se sposti quella quantità di risorse, personale e potere, poi non la riporti più indietro, non è un processo che puoi più fermare».
Parliamo dei soldi. Lei, da economista, è partito da lì.
«Le pre-intese firmate dal centrosinistra nel 2018 sciaguratamente consentivano alle regioni di trattenere maggiore gettito: il Veneto chiedeva il 90%. Ora le tre Regioni hanno astutamente disseminato nelle bozze norme che gli portano vantaggi finanziari. È un enorme problema: con l’invarianza finanziaria significa che le altre Regioni, specie al Sud, prenderanno meno. Ora che succede? Non ne ho idea. Però dico che scuola e gettito tributario sono le due grandi questioni: neutralizzare queste due, sarebbe già qualcosa...
(dal Fatto quotidiano)