Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  giugno 29 Sabato calendario

I concorsi universitari truccati

CATANIA – «Hai bonificato l’ufficio?». Il nuovo rettore chiede al predecessore se ha fatto togliere le cimici di polizia dalla stanza in cui si sta insediando, consapevole che c’è un sistema paramafioso da mantenere e che una procura, quella di Catania, l’ha compreso da tempo. È la prima domanda di Francesco Basile, chirurgo, a Giacomo Pignataro, economista. È il 2 febbraio 2016. Tutti e due ora sono indagati per associazione a delinquere con finalità di corruzione, truffa aggravata, falsità ideologica. La procura aveva chiesto gli arresti domiciliari per loro e altri otto vertici di facoltà: negati. Il rettore Basile, da ieri, è però sospeso nelle sue funzioni. L’inchiesta, ad ora, ha indagato 66 docenti universitari: 44 a Catania, 22 in 16 atenei. Insegnano nei più prestigiosi: Statale di Milano, Ca’ Foscari di Venezia, Verona, Padova, Bologna, Napoli e poi alla Sissa di Trieste, a Firenze, alla Cattolica di Roma e a Roma Tre, a Chieti- Pescara, a Catanzaro, a Messina, a Cagliari. Sono indagati anche il rettore della Sapienza di Roma, Eugenio Gaudio, e quello dell’Humanitas di Rozzano, Marco Montorsi. Due medici. Un’inchiesta lunga 21 mesi ha fatto emergere un sistema clientelare (sono coinvolti gli ultimi tre rettori, un pro rettore, sei direttori di dipartimento, il preside di Medicina) che all’Università di Catania taroccava tutto (la Digos ha contato 97 prove profilate) richiamando commissioni a comando. La cupola rettoriale catanese aveva truccato, innanzitutto, l’elezione del Magnifico Basile: pizzini distribuiti a tutti gli elettori, anche agli studenti, e obblighi rispettati. «Anche per il cda abbiamo votato con i pizzini», confesserà l’ex direttore di Scienze politiche Giuseppe Barone, capace di far assegnare al figlio il ruolo ad Economia. Scandagliando i concorsi interni, gli investigatori non ne hanno trovato uno regolare. L’unico che stava andando secondo merito è stato stoppato dal rettore in carica. Bandi per professori, ordinari o associati, chiamate dirette, prove per ricercatori, dottorati, assegni di ricerca. Tutto predestinato. L’indossatore del concorso di sartoria veniva convocato da Basile e gli veniva spiegato quali titoli dovesse presentare, quali sarebbero stati i punteggi attribuiti. In alcuni casi il candidato era così potente che diceva lui al Magnifico come doveva essere realizzato il concorso: «Dobbiamo soggiacere al potere», si giustifica in una telefonata il rettore-chirurgo. Spiegherà agli amici perché non era importante che in facoltà entrassero i migliori: «L’università nasce su una base cittadina abbastanza ristretta, un’élite culturale, finora sono state sempre quelle le famiglie...». Nel gennaio 2018, per dire, è diventata associato a Scienze biologiche Velia Maria Lucia D’Agata, figlia dell’ex procuratore Enzo. Chi osava presentarsi in antitesi al prescelto era pubblicamente umiliato, la candidatura era ritirata. Un ricorso al Tar comportava ritorsioni: «Vediamo chi sono questi stronzi che dobbiamo schiacciare...», dirà il professor Barone. Già, «hanno pestato la merda e ora se la piangono». Per convocare commissari d’esame in linea, l’Università di Catania inventava inesistenti convegni, pagava spese di viaggio e recapitava mazzi di fiori: docenti mantenuti e coccolati per falsificare. Il Mur ora promette che si costituirà parte civile, il sottosegretario Fioramonti si dice colpito, ma il rettore Basile gli ha negato ogni appuntamento per spiegare il caso Scirè, pioniere delle ingiustizie dell’Università di Catania. Il direttore generale (defenestrato) Lucio Maggio, da cui è partita l’indagine, racconta i possibili sviluppi: «Nel nostro ateneo tutto costava quattro volte tanto, bidelli, vigilantes, cantieri».