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 2019  giugno 29 Sabato calendario

Simenon, le donne, gli Stati Uniti

Nell’agosto del 1951, quando scrisse Marie la strabica ( ora tradotto con gusto da Laura Frausin Guarino per Adelphi), Simenon era a Lake City, Connecticut – perseguitato tre volte dagli epuratori della Liberazione, e tre volte prosciolto, seccato, se ne era andato in America. La vita in villa, con le vetrate sulle rocce e il lago, tre mesi di neve e una piscina in terrazza, era “da milionario”. Tanto più Simenon ripensava agli inizi a Parigi, quando era povero e Colette, redattrice al Matin, gli rifiutava sistematicamente i racconti; viveva allora in una stanza e mezza, su un cortile interno; però il caseggiato, semiabbandonato in quel 1923, era stato il palazzo di Richelieu, il cardinalministro, a Place des Vosges. Quell’indirizzo “triste e misero” della giovinezza, 21 Place des Vosges, è la casa di Marie la strabica. Il romanzo è in effetti la storia di una doppia carriera. Due campagnole di Rochefort, a diciott’anni cameriere stagionali in una pensioncina sul mare, decidono di forzare il destino trasferendosi a Parigi. I due caratteri opposti dovremo decifrarli dai dialoghi scarni ma risentiti che le ragazze si scambiano prima di addormentarsi, nel letto che con qualche imbarazzo condividono nella pensione. Marie è fisicamente sgraziata, così chiusa e diffidente che non sappiamo quanto dar credito alle sue malignità, e le sospettiamo cupi e testardi sentimenti. L’altra, Sylvie, è pastosa; l’amica la accusa di accarezzarsi i seni, che ha bellissimi, davanti alla finestra, senza spegnere la luce; le piace stordire un povero disabile del luogo, che occhieggia dal giardino di tamerici, e ci perderà (letteralmente) la testa. Così bella, Sylvie è decisa a diventare ricca, e sa che è meglio allenarsi a essere cattiva, e a sfruttare le situazioni, e tutte le debolezze altrui. Anche naturalmente quelle di Marie, che – brutta com’è – sembra predestinata, fin da bambina, a “farle da cameriera”, e le pettina i capelli, protestando. Di colpo, passano ventotto anni; le due donne non si sono più riviste. Sylvie è riuscita a rovinare la vita di Marie (le è stato facile, e lo ha fatto automaticamente, tanto per ribadire il potere del suo fascino), e è approdata anche agli agi prefissi. Ma ora ha di nuovo, assolutamente, bisogno dell’aiuto di Marie. È in gioco il testamento del suo agiatissimo amante, emiplegico e in fin di vita; Marie deve fingersi infermiera, e sorvegliarlo. Lo farà, per l’amica che è stata con lei tanto perfida? Ma non è questa l’unica ansia che ci incalza nella lettura. Marie la strabica è uno di quelli che Simenon chiamava “romanzi duri”: non un confortevole giallo cioè, che dà un movente alla scriteriata morte. Qui, mentre seguiamo le tracce che Simenon dissemina per distrarci e divertirci, si compie una sorte fatale, che è il rovescio del delitto premeditato. E di nuovo, Simenon è ispirato dalla sua vita. Da quando era negli States, gli capitava di inserire nelle interviste e perfino nei romanzi qualche parola americana – americana come la nuova moglie; e alla signora Maigret poteva accadere di incappare nei muffins di Tucson Arizona. Nel 1948 – Simenon aveva appena finito un romanzo “impregnato di alcool” – di colpo, aveva smesso di bere. Come dichiarava arcanamente ai giornalisti francesi, lui e la moglie erano “descendus du wagon”, cioè off the wagon, non bevevano più. Ma i periodi Coca- Cola duravano poco, Simenon riprendeva. E così il suo personaggio femminile. Ora che è così vicina a realizzarsi, Sylvie è stremata. «Aveva accettato tutto. Tutto quello che era necessario. Senza ripugnanza. Mai, in vita sua, non fosse che per pochi minuti, aveva fatto quello che avrebbe voluto fare, mai aveva potuto rilassarsi». Nella notte in cui vaga in visone aspettando la morte dell’amante, e che Marie la rassicuri, Sylvie di colpo si sente stanca. Da un po’ beve, e ha cominciato a farlo di nascosto. Il suo amante la tradirà, in articulo mortis? O la tradirà Marie? O Sylvie si annegherà da sola? Come annotava il campione degli intellettuali parigini André Gide, i migliori romanzi di Simenon si sviluppano, come la musica araba, su un solo piano. Pochi personaggi essenziali, e temi fortemente collegati, rincarerà Thomas Narcejac – il giallista, con Pierre Boileau, della Donna che visse due volte. Alla fine di Marie la strabica, entrambe le donne avranno realizzato il loro sogno; e lo straordinario gioco di Simenon è mostrare che il loro tempo è alla fine, eppure si è tornati all’inizio. Succede mai nulla, nel profondo dei caratteri?