Robinson, 29 giugno 2019
La grande carestia provocata da Stalin
Non vorrei essere lapidata dagli studiosi del ramo per l’audacia di affrontare un tema di cui non so nulla, nella speranza che questo libro raggiunga altri lettori impreparati come me, perché in momenti di confusione amara come questi, c’è ancora chi vuole cancellare la Storia, fonte di ogni sapienza, arma di difesa, legame col mondo. La grande carestia. La guerra di Stalin all’Ucraina di Anne Applebaum è la ricostruzione di una catastrofe umanitaria, una carestia provocata dall’insipienza degli uomini o, come oggi si è più sicuri, da una spietata decisione politica, che negli anni 1932-33 portò alla morte per fame più di 5 milioni di persone in Unione Sovietica, di cui almeno 4 in Ucraina. Testimonianze d’epoca. «Gli abitanti dei villaggi che morivano giacevano lungo le strade e i sentieri. C’erano più cadaveri che persone che potessero portarli via». Bambini «tutti uguali: le teste come pesanti gusci, il collo magro come quello di una cicogna, ogni movimento delle ossa visibile sotto la pelle, la pelle stessa come garza gialla tesa sui loro scheletri... e i loro occhi, mio Dio!». La vera fame, quella che disumanizza prima di uccidere; furti nelle dispense altrui, follia disperata, suicidi, assassini dei vicini e dei propri figli per non vederli più soffrire, per strappare loro l’ultima briciola di pane: persino casi di cannibalismo. L’Ucraina era il cosiddetto granaio d’Europa e la collettivizzazione imposta da Stalin per espropriare le terre ai contadini e obbligarli a consegnare il raccolto, aveva come scopo venderlo all’estero per industrializzare l’Urss. Ma nel progetto di Stalin c’era anche l’annientamento di una nazione, della sua storia, delle sue tradizioni. Al suo piano non poteva esserci un fallimento, né doveva restarne traccia; i fedeli oligarchi comunisti ucraini che avevano tentato di avvertirlo del pericolo, vennero licenziati, arrestati, eliminati. Gli esperti di statistica che avevano registrato una diminuzione della popolazione, i medici che nelle cause della morte accennavano alla fame, incarcerati, tolti di mezzo; i kulaki, i contadini abbienti, deportati e scomparsi; i professori universitari, gli intellettuali, gli artisti, le élite della cultura, (quelli che oggi vengono ridicolizzati come “professoroni”, “intellettualoni” “radical chic”, “sinistri”) cancellati. Squadracce di regime requisivano persino le sementi che avrebbero dovuto assicurare i prossimi raccolti. Le stazioni si riempirono di gente in attesa di treni che non arrivavano, le città furono chiuse perché i moribondi non andassero a raccontare il calvario delle campagne, i confini tra stato e stato nell’Urss sbarrati. Ma le città sapevano, il partito sapeva, Stalin sapeva, tutti sapevano delle stragi dell’Holodomor, la morte per fame. Il progetto di occultamento ebbe successo e come lo racconta Applebaum è la parte del libro che fa pensare al presente. Nel mondo si muore ancora di fame, ma non qui, nel nevrotico, benestante, disumanizzato Occidente: dove invece impera il tentativo di cancellare la realtà con l’industria delle menzogne e dell’odio sul web. Oggi è impossibile, ma allora, nel mondo sovietico ufficiale, si poteva occultare tutto, quindi anche la carestia ucraina: «Se la carestia del 1921 era stata un forte appello diffusamente accolto, agli aiuti internazionali, la risposta a quella del 1933 fu l’assoluta negazione all’interno dell’Unione Sovietica e all’estero, di qualunque penuria alimentare». Eppure il Vaticano sapeva, Mussolini sapeva, i tedeschi anche, ma ragioni di prudenza politica in quel 1933 con l’ascesa di Hitler, consigliarono il silenzio. I corrispondenti stranieri dovevano avere il permesso per trasmettere ogni notizia, i più importanti venivano circondati da lussi per interviste anche a Stalin, i disubbidienti venivano espulsi. Inoltre parte dell’Occidente era interessata all’esperimento sovietico, al comunismo, e non poteva credere alle sue distorsioni. In seguito, agli ucraini fu proibito ricordare, l’Holodomor era una menzogna dei nemici del popolo, non era mai avvenuto, almeno sino a quando, alla fine degli anni Ottanta, non fu più possibile negarlo. Svetlana, la signora che sovraintende alla mia sopravvivenza, ucraina di madre russa e padre rumeno, che lavora in Italia da 17 anni, ricorda la nonna, sette figli da proteggere da sola, che le raccontava di quando venivano a requisire le barbabietole per trasformarle in zucchero, e la gente prendeva il treno, camminava per chilometri e raggiungeva la fabbrica dove gli scarti della lavorazione erano montagne, riempivano i sacchi di quella spazzatura e poi a casa la trasformavano in orride frittelle: tutto era diventato commestibile, per la fame. Oggi l’Ucraina è una nazione indipendente ma ancora senza pace, con i confini insicuri dove si combatte, prigionieri dell’astio vigile del potente Putin, con la moneta nazionale che ha perso il 70 per cento del suo valore e il sogno di entrare nell’Unione Europea mai realizzato. Svetlana rimpiange gli anni del comunismo perché «tutti avevamo un lavoro, tutti eravamo uguali», però ricorda anche certe assurdità, come quando negli anni Ottanta, più o meno ai tempi della tragedia di Chernobyl, i sovietici lanciarono la campagna “Sobrietà” per frenare l’alcolismo della disperazione, obbligando a sradicare i vigneti che, dice Svetlana, producevano vino buono come quello italiano. «Poi ai matrimoni in campagna c’era sempre, ben nascosta, una grande botte di vodka clandestina e alla fine della festa tutti erano ubriachi». La diaspora ucraina conta nove milioni di persone sparse nel mondo: in Italia secondo le ultime stime sono 237.047, in Lombardia 55.360, a Milano 1.923: tutti lavorano, tutti pagano le tasse. Da anni ormai la vasta documentazione sull’Holodomor è disponibile e Anne Applebaum l’ha consultata ovunque. È una bella signora cinquantenne, vive in Polonia col marito Rados?aw Sikorski che è stato viceministro della difesa e poi ministro degli esteri del governo polacco. Per prima, ancora prima della vittoria di Trump, ne ha segnalato i legami con i russi, Wikileaks l’ha presa di mira per le sue iniziative contro la propaganda. Nel 2004 ha vinto il premio Pulitzer per Gulag, lo scorso gennaio a Percoto, ha vinto il più prestigioso dei premi Nonino, quello ai Testimoni del nostro tempo. Continua a scrivere del pericolo del Nuovo Nazionalismo Internazionale xenofobo, che sta mettendo in pericolo la Nato, l’Unione Europea e il mondo democratico, con partiti come in Italia la Lega.