il Fatto Quotidiano, 28 giugno 2019
Le donne nel sistema camorra
N ella camorra non esiste Famiglia senza famiglia di sangue. Lo ha ricordato l’u l t ima relazione s em e st r al e della Dia: “La presenza di parenti all’i nt e r n o della catena di comando conferma la centralità della famiglia quale strumento di coesione. È in questo contesto che le donne assumono, sempre più spesso, ruoli di rilievo nella gerarchia dei clan, in assenza dei mariti, o coi figli detenuti”. A Napoli, scompaiono i capi carismatici, e mogli e figlie ne prendono il posto. Oggi Maria Licciardi, ieri Pupetta Maresca. Ma è da tempo che le donne a Napoli partecipano alle attività illegali. La loro presenza, attiva, è radicata nella storia della camorra (e della città). A partire da ll’Ottocento, e poi nel mondo del contrabbando di sigarette. Raccontava il boss dei Quartieri Spagnoli, Mario Savio: “Le contrabbandiere avevano un’abilità particolare perché riuscivano a stringere tra le cosce le valigie usate come banchetto per le sigarette e a camminare, tenendole nascoste sotto i gonnoni, con passo normalissimo, sfilando davanti ai finanzieri”. Capacità organizzativa, gestione degli affari, le vediamo complici nel fiancheggiare e spalleggiare i loro uomini, o pronte ad assalire in difesa dei propri parenti. “C a p es s e”, trafficanti di droga, usuraie, assassine, oltreché mogli, madri, sorelle, amanti. Secondo i dati raccolti da Anna Maria Zaccaria, dell’Università Federico II, sulle donne detenute per camorra, 1 su 3 risulta essere moglie o compagna di un capoclan: è quindi il legame sentimentale/coniugale a connotare la loro appartenenza. Nel 45% dei casi, ricoprono un ruolo di “g r e g aria”, prima ancora che di pusher o di corriere (29%) o di leader (25%). A dimostrazione dello sfruttamento, o meglio della valorizzazione, della capacità femminile di fare rete. C’è un mondo che pare averlo capito, e messo a Sistema, molto più velocemente di quello che, parallelo, gli corre di fianco. © RIPRODUZIONE RISERVATA