Avvenire, 28 giugno 2019
Un libro sul Pescara di Galeone
«Siamo stati felici», è lo slogan, quotidianamente rilanciato su Facebook - con tanto di foto dell’icona vintage di giornata dal sociologo Ivo Stefano Germano, autore di #quartierinogauchecaviar( Pendragon), flusso di pensiero antropologico in una Bologna assai oltre il weekend-postmodernodi tondelliana memoria. E partiamo da qui, da Bologna, dallo stadio Dall’Ara per rievocare una delle giornate epiche vissute dal Pescara favoloso di Giovanni Galeone, stagione calcistica di Serie B 1986-’87. Stagione in cui eravamo davvero felici e Lucio Biancatelli nel raccontarla in un libro - consigliato ai nostalgici del calcio “pre-paytv” - ricorre al titolo d’antan Poveri ma belli. Il Pescara di Galeone dalla polvere al sogno
(Ultra Sport. Pagine 219. Euro 16 ,00). Già, poveri ma belli, come tutti i club che ha allenato Galeone: dal Grosseto degli esordi, a una Spal non ancora da Serie A, all’Udinese dove era il vice di Massimo Giacomini e da allenatore in seconda il “Gale” già stregava anche il divino Zico. Poi quell’estate dell’86, a 45 anni, la prima grande occasione, il Pescara del presidente Panfilo Leonardis. Galeone arriva con il Pescara retrocesso in C1, ma per il solito circolo vichiano dei corsi e ricorsi pallonari, il Palermo, ieri come oggi, non si iscrive al campionato e gli abruzzesi vengono ripescati e affidati a quel bizzarro personaggio ancora in cerca d’autore. «Arrivavo dalla Spal e mi accolsero come il signor nessuno. Trovai una rosa ridotta a 13 giocatori e me la dovevo far bastare. La supplica del presidente De Leonardis fu: “La prego, non scendiamo in C2 già a gennaio”». Con quel manipolo di fedelissimi, il Pescara partì per il ritiro di Monfortino in cui «non c’erano neanche i soldi per il pullman e ci mancava solo che dovessimo lavarci le maglie», ricordano gli uomini di Galeone che fecero l’impresa. Ma la cenerentola dei cadetti, giornata dopo giornata si trasformò nella principessa della B e l’apoteosi, dinanzi ai 10mila o forse più pescaresi saliti al Dall’Ara, si celebrò proprio quel giorno a Bologna. Lì nacque anche la nomea del “Profeta dell’Adriatico”. Quel Pescara come ogni degna rappresentazione del folklore italico, il giovedì si confessava da padre Guglielmo «che ci raccontava di Padre Pio» ma poi si atteneva, oltre allo spregiudicato 4-3-3, anche alle scaramanzie di Galeone. «Durante la “partitina” d’allenamento il Mister girava per il campo alla ricerca del quadrifoglio... e questo rito andava avanti fino a che non lo trovava». Così l’11 era la maglia che non consegnava mai personalmente (la faceva dare dalle mani del magazziniere, Fernando) ed evitava con cura ogni appuntamento alle ore 11 e il giorno 11. Ma quel Bologna-Pescara si disputava l’11 gennaio dell’87 e il Profeta alla vigilia fece capire che quella partita non si doveva giocare. Infatti, all’indomani Bologna si risvegliò sotto una coltre di neve che fece annullare la gara. Si rigiocò l’1 febbraio e il Pescara vinse con gol di Rebonato. “Re- bogol” il capocannoniere (con 21 reti) di quella pazzesca traversata del “Galeone a vele spiegate” fino all’attracco al porto della Serie A. L’uomo a più dimensioni che leggeva Lo straniero di Albert Camus sulla spiaggia di Francavilla, da sconosciuto divenne il “guru” della zona e del tridente. Anche se il Profeta con profonda onestà intellettuale ha più volte sottolineato: «Gente come Catuzzi già nel ’78 a Bari giocava con tre punte ed era il primo che faceva la zona pura. E prima di bravi ragazzi, anche se “khomeinisti” degli schemi come Sacchi e Zeman, viene Orrico alla Lucchese e poi il sottoscritto, che andò in A schierando sempre lì davanti, Rebonato Berlinghieri e Pagano». Quel Rocco Pagano che oggi gira l’Italia vendendo vini per conto della pregiata Cantina Tollo e che al debutto in A, con il suo repertorio di finte, controfinte e cross da solitudine dell’ala destra, mise in crisi l’Inter (il Pescara passò 2-0 a San Siro «e Galeone – ricorda Gianni Mura in prefazione a Poveri ma belli – la sera prima all’Osteria del Treno, vicino alla Centrale, si siede e racconta come imposterà la partita e perché la vincerà ») e poi «mandò al manicomio Paolo Maldini» che ancora lo ricorda come l’avversario più ostico mai incontrato in carriera. Galeone in cima all’album delle sue memorie di cuoio mette una partita da calcio di poesia nel suo Friuli assieme al poeta di Casarsa, Pier Paolo Pasolini, al quale perdona anche il fatto di prediligere la maglia n.11. E poi c’è il «calcio cinema» di Pescara-Milan 4-5, con l’armata Galeone che chiude il primo tempo
segnando 4 gol alla difesa più forte del mondo ( Tassotti, Maldini, Baresi e Costacurta) per poi subire il pari e il sorpasso con la tripletta dell’immenso “Cigno di Utrecht” Marco Van Basten. Di contro quel Pescara, buono come un’annata giusta del suo amatissimo Sassicaia, schierava davanti alla difesa il cantore-samba Leo Junior e il «Maradona dei Balcani», Blaž Sliškovic, scartato dal Marsiglia. Il genio irregolare di Mostar che in una amichevole vinta dalla ex Jugoslavia contro l’Italia, anno 1980, immarcabile, firmò il gol vincente e si prese l’encomio di Enzo Bearzot: «Datemi un “8” come Sliškovic e vinco il Mondiale», dise il
Vecio, campione del mondo nell’82. Otto, furono le reti segnate in 23 partite al Pescara da Sliškovic che dopo l’infortunio fece ritorno in Francia, al Lens, per poi rispondere nuovamente alla chiamata del Profeta che lo volle con sé nella sfortunata stagione di A 1992-’93 (il Pescara chiuse ultimo). Il vecchio Blaž aveva 32 anni e non possedeva più lo scatto di un tempo ma Galeone lo aveva convinto dicendogli: «Il tuo carisma e il tuo carattere sono utili alla squadra». Carisma e carattere, i due requisiti fondamentali per essere degni allievi della “scuola Galeone” che pur schernendosi dietro a un «non so se sono stato un bravo allenatore, ma nella mia vita ho cercato innanzitutto di essere un buon insegnante di calcio», è stato in grado di forgiare allenatori di primo piano. Sono i discepoli di Pescara, come il figlioccio Max Allegri 6 scudetti vinti fin qui (1 al Milan cinque di fila alla Juve). Il Conte Max rappresenta il suo “riscatto” personale di tecnico a cui non è stata concessa la chance di allenare una ricca ma bella. «Mi aveva cercato Massimo Moratti, mi voleva all’Inter ma poi non se ne fece niente», ricorda sornione il Gale. Ma il suo orgoglio sono anche gli ormai “laureati” Gian Piero Gasperini, condottiero dell’Atalanta debuttante in Champions e il nuovo mister del Milan Marco Giampaolo. E poi le “coppie”, Federico Giunti e Daniele Gregori tecnici della Primavera milanista, Cristiano Bergodi e Luigi Ciarlantini emigrati in Romania al Vuluntari, Andrea Camplone e Giacomo Di Cara, attualmente fermi. Quest’ultimi due (come Giunti e Gregori) hanno allenato a Perugia, ultima impresa galeoniana (quarta promozione dalla B alla A, dopo le due di Pescara e quella di Udine), alla corte del vulcanico presidente Luciano Gaucci. «L’uomo più generoso che abbia mai incontrato... – raccontava Galeone – Con Gaucci rompemmo quando portai il mio husky, Zigler, in conferenza stampa dicendo: visto che qui dentro ci sono allenatori cani, ma anche giornalisti cani, ho pensato che Zigler è l’unico veramente a suo agio». Siamo stati felici, quando in panchina andava Galeone, che viaggia ancora leggero come in quegli anni pescaresi in cui «bevevamo champagne ed eravamo elegantissimi».