Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  giugno 28 Venerdì calendario

Per Michael Wolff Trump è spacciato

“Trump non sarà mai rieletto, il prossimo anno”. Michael Wolff, 65 anni, si sbilancia. Ma pochi conoscono come lui la Casa Bianca e il suo inquilino. Sempre elegantissimo nonostante il caldo, Wolff è a Roma per presentare il suo secondo libro sulla presidenza Trump, Assedio, un anno dopo il best-seller Fuoco e Furia. È tanto letto quanto odiato, perché nelle sue cronache abbonda di notizie, dettagli ma anche maldicenze, rancori, vendette. E racconta un’amministrazione allo sbando. Lo abbiamo incontrato negli uffici del suo editore italiano, Mondadori.
Michael Wolff, ieri c’è stato il primo dibattito tra i 20 democratici che aspirano a sfidare Trump l’anno prossimo. Chi può batterlo? 
Tutti. Una campagna per la rielezione è faticosa, ci vuole molta determinazione da parte del presidente in carica per rimettersi in gioco. I numeri della popolarità di Trump sono disastrosi e lui non sembra avere voglia ed energia per risollevarli.
Nel 2016 nessuno voleva lavorare con Trump, perché nessuno pensava che potesse vincere. Ora è diverso? 
No. Nessuno vuole lavorare alla Casa Bianca perché Trump distrugge qualunque carriera. Perfino il suo ex capo dello staff, Reince Priebus, è rimasto disoccupato dopo la rottura. Inoltre pochi pensano che Trump sarà rieletto. Non riescono neppure più a trovare un portavoce per la Casa Bianca, hanno dovuto usare quello di Melania, la first lady.
A Melania lei dedica un capitolo. Che rapporti hanno davvero i due? 
Non ho mai trovato nessuno in grado di fornirmi qualche elemento concreto sul fatto che quello tra Melania e Donald sia un vero matrimonio.
Nel libro lei si occupa molto di Jared Kushner, il genero di Trump, che pareva una figura minore. 
Dei collaboratori stretti del presidente entrati alla Casa Bianca con lui nel gennaio 2017 non è rimasto nessuno. Tranne Jared. Lui e Trump si capiscono, sono entrambi uomini d’affari che pensano al futuro, proprio e delle loro aziende. Jared ha un potere immenso nella regione del mondo, il Medio Oriente, decisiva per il suo business ma anche dove circolano più capitali connessi al terrorismo. Ha avuto anche un ruolo cruciale nel favorire l’ascesa al potere di Mohammed bin Salman in Arabia Saudita. E questo spiega anche perché gli Usa sono stati così cauti sul caso del giornalista saudita Jamal Kashoggi, editorialista del Washington Post ucciso in una ambasciata saudita in Turchia.
Cresce la tensione con l’Iran. Trump potrebbe essere tentato da un’operazione militare che faciliti la sua rielezione? 
Oggi scatenare una guerra richiede lunghi meeting, analisi basate sui dati, estenuanti presentazioni in Power point in sale buie. Già me lo vedo Trump uscire dalla stanza sbuffando alla prima slide… Non ha abbastanza pazienza per andare in guerra.
Il suo libro si apre con il racconto dell’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller. Ha dimostrato che ci sono stati mille punti di contatto tra la campagna di Trump e gli uomini di Vladimir Putin che cercavano di condizionare le elezioni 2016. Ma non c’è stato un vero coordinamento. Minaccia disinnescata?
Mueller è stato molto attento a non andare allo scontro frontale perché ha capito che Trump era come un terrorista con una cintura esplosiva, pronto a un suicidio istituzionale. Quando l’inchiesta è partita, il Congresso era a maggioranza repubblicana e non si poteva avere una indagine parlamentare, ma soltanto un procuratore speciale. Ora i Democratici controllano la Camera dei rappresentanti, possono costruire una narrativa più chiara delle ingerenze esterne e delle azioni degli uomini di Trump. E Mueller dovrà testimoniare davanti al Congresso.
Anche in questo libro, come in Fuoco e Furia, una delle fonti principali è Steve Bannon. Quanto conta ancora alla Casa Bianca? 
Quello di Bannon e Trump è un matrimonio complicato. Anche ora che Bannon è fuori continua a essere molto ascoltato, potrebbe anche tornare a occuparsi della campagna presidenziale 2020. Ma Steve oggi divide il suo tempo tra i consigli al presidente, attività contro la Cina e i suoi tentativi di organizzare movimenti di protesta in Europa. Non si è mai divertito tanto in vita sua.
Bannon è spesso a Roma. Perché è così interessato all’Italia? 
È convinto che un’onda populista travolgerà tutto. Una delle cose di cui si dice più orgoglioso è aver favorito l’alleanza tra due forze populiste lontane tra loro come Lega e Cinque Stelle. Ma in tutta Europa i politici che hanno avuto a che fare con lui, come Boris Johnson, ora cercano di liberarsi della sua figura ingombrante.
Trump è stato eletto con la promessa di costruire un muro per fermare i migranti dal Messico. Secondo lei il presidente è sensibile alla foto del papà honduregno, Oscar Alberto Martínez, annegato con la figlia di due anni, Angie Valeria, nel Rio Grande?
Di solito funziona così. Ivanka, la figlia, cerca di sensibilizzarlo. Lui si ammorbidisce. Poi i suoi collaboratori gli fanno notare che si è ammorbidito e allora si infuria e, per dimostrare che è un duro, si sposta su posizioni ancora più rigide. E usa un argomento comune a Salvini: col muro ne morirebbero di meno. Ma la verità è che a lui, di questi morti, non importa nulla.