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 2019  giugno 28 Venerdì calendario

Donne al vertice dei clan

Il ruolo apicale delle donne dei clan di camorra a Napoli è ben riassunto in una frase del pentito Mario Lo Russo. Sentito dai pm il 12 settembre 2016 per riferire sui capi dell’Alleanza di Secondigliano, a una domanda sul clan Licciardi, Lo Russo risponde: “Erano diretti da Maria Licciardi”. Il salto di qualità è compiuto: le signore della camorra non svolgono più una funzione di supplenza degli uomini del clan in situazioni d’emergenza – omicidio, latitanza prolungata o cattura del boss di riferimento – ma assumono in prima persona i pieni poteri. “Maria Licciardi era indiscutibilmente il capo del suo clan, riconosciuta da tutti in quanto tale, sia interni che esterni”, riassume il Gip di Napoli Roberto D’Auria che ha firmato l’ordinanza di 126 misure cautelari. Duemila pagine frutto di una inchiesta di ‘sistema’ – pm Ida Teresi, procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – che la Direzione distrettuale antimafia della Procura di Napoli ha avviato nel 2012 annodando i fili dei rapporti tra alcuni dei clan più potenti della città, i Contini, i Mallardo e i Licciardi.
Un patto di sangue e di affari. L’Alleanza di Secondigliano. A rappresentare i Licciardi a quel tavolo dove si decideva la spartizione dei territori e le missioni di terrore c’era Maria ‘a Piccerella’, la sorella di Gennaro Licciardi ‘a scigna’ (la scimmia), morto in carcere a Voghera nel 1994 dopo aver fondato il clan che ha tuttora la sua roccaforte nella Masseria Cardone, all’interno del quartiere di Miano, periferia nord di Napoli. Anche Maria ha conosciuto la prigione, a Benevento, nei primi anni 2000. E se una volta erano le donne a portare all’esterno le imbasciate e gli ordini degli uomini detenuti, nel suo caso è esattamente il contrario. Dalle conversazioni registrate in carcere, si scopre che è il marito “ad assumere le redini del clan sotto la costante direzione della moglie”.
Maria Licciardi fu catturata dopo due anni di latitanza, e anche stavolta si è data alla fuga, gli investigatori non sono riusciti a rintracciarla all’alba del maxi blitz. Sono invece finite in carcere le tre sorelle Anna, Maria e Rita Aieta, mogli di Francesco Mallardo, Edoardo Contini e Patrizio Bosti, e Rosa Di Nunno, moglie di Salvatore Botta. A tutte è stato riconosciuto il ruolo di ‘capo’ all’interno dell’Alleanza. “Le donne avevano un ruolo rilevante sia per i collegamenti con il sistema penitenziario, sia per la capacità di assumere decisioni e di pretenderne il rispetto” ha spiegato il procuratore capo Giovanni Melillo.
Il potere di Maria ‘la Scimmia’
L’autorevolezza di Maria Licciardi si evidenzia nella vicenda del debito di gioco di 15mila euro contratto dal figlio minorenne di un tale P. R. “Li prendiamo tranquillamente… quello tiene i soldi”, dicono tra loro i ‘creditori’. Non è così. L’uomo stenta a onorare le pendenze. E chiede a Maria ‘a scigna’ (l’altro suo soprannome) un intervento per ottenere una dilazione. La storia emerge da una intercettazione ambientale.
T. – E quell’altro, il figlio di P. R. – (inc) poi si rivolge a Maria “la scimmia”… non li tiene… a tanto alla volta… ma quello è sbagliato… invece di prenderlo e dirgli: scornacchiato, hai giocato? Non devi pagare a questi? Invece si rivolge a quella… e ora vediamo dai 1.300 a 1.000 al mese… ma che stai dicendo? (…) sta pieno di debiti… a piangere da Maria: ma quella dice; tu giochi? Quando hai vinto ti hanno dato i soldi? E quando perdi paghi.
S. – Sono cose di gioco…
Alla fine, anche grazie a Maria Licciardi, si troverà un accordo per una dilazione a 2.000 euro mensili.
“Il rispetto per la donna era massimo – scrive il giudice – tanto che, sebbene il suo operato non fosse condiviso, comunque le richieste da lei avanzate trovavano fattiva realizzazione”, per via dell’intesa di ferro tra i Licciardi e i Contini. Come nel caso del pagamento di un credito. Maria Licciardi si rivolge a Peppe, uno dei Contini. L’ordine è chiaro. La vittima va minacciata, e se necessario bastonata a sangue. “Sto aspettando a questo cornuto – esclama l’esattore – ma penso che abbusca dopo… Ha detto Peppe…. Se non ti dà i soldi picchialo”. Anche stavolta il debitore proporrà una rateizzazione. Dovrà discuterla con Maria Licciardi in persona.
La dura legge delle sorelle Aieta
Per una estorsione da un miliardo quando la moneta era la lira, Anna è stata recentemente condannata in primo grado a 13 anni. Maria, con lo sconto di pena del rito abbreviato, se l’è cavata con 8 anni. Mentre di Rita Aieta parla così un pentito, Alfredo De Feo: “Dico subito che è persona che comanda nel clan Contini ed ha anche voce in capitolo sulle mesate (gli stipendi agli affiliati del clan, ndr). Ricordo per esempio che tolse la mesata per alcuni mesi ad uno, perché la moglie non l’aveva salutata rispettosamente”. Sono sgarri che vanno puniti in qualche modo. Dovette intervenire il nipote dell’uomo su Ettore Bosti, il figlio di Rita, per far ripristinare lo stipendio allo zio.