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 2019  giugno 28 Venerdì calendario

Ilva, il pericolo di uscire dall’acciaio

Riuscirà l’Ilva a tagliare il traguardo del suo 115esimo compleanno? Per farlo, dovrà essere ancora in vita il 1° febbraio 2020; se non dovesse più esistere, l’Italia potrebbe uscire dal "grande gioco" dell’acciaio, nel quale occupa il 2° posto in Europa dopo la Germania e il decimo a livello mondiale. Il che sarebbe un altro, importante passo sulla via del declino. 
Parole grosse? Non tanto. Quando – negli anni Ottanta dell’Ottocento - nacque a Terni la prima moderna acciaieria italiana, la classe politica sapeva abbastanza bene quel che faceva: considerazioni economiche (acciaio per le nuove ferrovie e i macchinari delle industrie nascenti) si intrecciarono a considerazioni militari-strategiche (acciaio per costruire le nuove navi da guerra). Grazie a questa consapevolezza, 114 anni fa, le acciaierie di Terni si fusero con quelle che sfruttavano l’acciaio dell’isola d’Elba, che in latino si chiama Ilva, da cui il nome della società. 
Dopo il miracolo economico degli anni Sessanta, i politici cominciarono a perdere la coscienza di che cosa vuol industria; nel 1996, l’Olivetti, tra i leader mondiali nel settore computer-informatica, fu lasciata scivolare, con la sola preoccupazione di salvaguardare i lavoratori in eccesso; la stessa indifferenza portò, pochi anni dopo, all’uscita di Montedison (e quindi dell’Italia) dalla grande chimica e dalla grande industria farmaceutica; l’Alitalia è ormai il fantasma di se stessa, dopo esser stata una delle più importanti compagnie aeree del mondo. 
L’estraneità alla logica industriale e la sostanziale ignoranza di fattori tecnici si sono accentuate con l’attuale governo che sembra ignorare – oltre a tante altre cose - i legami produttivi dell’acciaio di base con gli acciai speciali e le industrie meccaniche italiane – spesso in posizioni da primato nel mondo – che li trasformano in prodotti ammirati e ricercati. Questo legame produttivo non sarebbe facilmente sostituibile e l’attuale assetto produttivo non potrebbe cambiare rapidamente e senza costi. 
Speriamo che la convocazione del "tavolo" di consultazione tra governo, sindacati e impresa, da parte del ministro dello Sviluppo Economico (una riunione richiesta dai sindacati circa nove mesi fa, durante i quali il ministro ha trovato tempo per tantissime altre cose) possa essere un, per quanto fragile, punto di ripartenza, un’iniezione di realismo. 
Perché questo avvenga occorre tener presente che l’Ilva è essenziale per l’Italia ma secondaria per l’attuale proprietà Arcelor-Mittal - uno dei giganti della siderurgia mondiale - e che appare irragionevole che questo gigante si assuma responsabilità penali non sue; il che significa che il governo deve riconoscere di aver compiuto un errore revocando, forse distrattamente, tale immunità con il decreto crescita. 
Il sindacato, dal canto suo deve non ripetere l’errore del caso Olivetti e riconoscere che il problema principale non è quello dei posti di lavoro – per i quali in ogni caso, vanno attivate tutte le provvidenze previste dalla legge – ma quello della continuità aziendale. E questa continuità aziendale si deve inquadrare in un progetto di lungo periodo: dobbiamo chiarire a noi stessi come vogliamo che sia l’economia italiana tra 10-20 anni.
In questi giorni si sta svolgendo a Torino la Italian Tech Week, una rassegna di invenzioni, progetti e realtà tecnologiche rivolte al futuro, opera soprattutto di giovani. Tutto ciò ha un senso se l’Italia rimarrà in Europa mantenendo e sviluppando la sua identità economica nel contesto europeo. Un progetto di lungo periodo non si fa con i "tweet", con l’ironia, la polemica incessante. Il tempo delle chiacchiere da bar deve finire.