Corriere della Sera, 28 giugno 2019
Tra i paladini delle balene
Perché le femmine dei cetacei restino con i loro piccoli al di sotto del 41 esimo parallelo, cioè più o meno all’altezza della linea che unisce Napoli alle Baleari, non è chiaro. Ma del resto questo non è l’unico mistero che i ricercatori dell’istituto Tethys, in 32 anni di monitoraggi in mare, non sono riusciti a risolvere. Anche il motivo per cui le balenottere dell’Atlantico entrano nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra, ma quelle mediterranee non usino quel passaggio per uscire nell’Oceano, resta inspiegabile.
È vero però che dopo aver percorso in barca una distanza pari a sei volte il giro della Terra, e aver censito 5.800 avvistamenti di balenottere, capodogli, delfini e altri cetacei nell’Alto Tirreno, Sabina Airoldi, la biologa a capo della ricerca Tethys nel santuario Pelagos, può ben dire di aver dato un contributo alla conoscenza di queste specie. «Quando abbiamo cominciato, nel 1987, in Italia ancora non si sapeva che i nostri mari costituiscono una delle aree con la maggior concentrazione di cetacei del Mediterraneo». Nato per iniziativa di Giuseppe Notarbartolo di Sciara, biologo all’epoca rientrato da un soggiorno di studi in California, il Tethys è un istituto di ricerca privato che da tre decenni si dedica allo studio e alla conservazione dei cetacei nel Mediterraneo.
E da allora, ogni estate, il due alberi guidato dagli skipper Paolo Pinto e Roberto Ranieri prende il largo dal molo di Portosole, a Sanremo, per andare a monitorare i fondali del santuario Pelagos, l’area protetta più grande del Mediterraneo, una riserva di 87.500 chilometri quadrati tra l’arcipelago toscano, la Corsica e la Costa Azzurra, che Tethys ha contribuito a far istituire nel ‘99, perché è qui che vengono a nutrirsi i cetacei. Ma solo i giovani maschi appunto.
«Questa settimana abbiamo rivisto Freddy, un capodoglio che avevamo avvistato per la prima volta nel 2009», dice la Airoldi. «Un anno dopo aveva un taglio molto profondo prima della pinna dorsale e lungo il fianco destro, segni di ferite provocate dall’elica di una grande imbarcazione. Ma ora sta bene ed è bello grasso». I capodogli si immergono anche a 700-800 metri di profondità per andare a caccia dei calamari nei canyon sottomarini che corrono lungo il Ponente ligure. Ma è con le navi di grossa stazza che navigano a velocità superiori ai 12 nodi che ci sono i maggiori rischi di collisione quando riemergono. E visto che ogni giorno più di 9 mila imbarcazioni attraversano il braccio di mare tra Liguria e Corsica, si capisce perché più dell’80% delle balenottere censite da Tethys presenti segni chiari di ferite.
L’attività di monitoraggio è essenziale per lo studio di questi mammiferi marini e non sarebbe possibile senza il contributo di tanti volontari, molti dei quali stranieri. Ecco perché ogni sabato la barca a vela dell’istituto rientra a Sanremo per prendere un nuovo gruppo di citizen scientist: 11 volontari che per una settimana aiuteranno il lavoro dei biologi in mare, condividendo in tutto la vita a bordo. «È come vivere un documentario invece che vederlo in tv», sintetizza la Airoldi.
Gli avvistamenti cominciano già sotto costa, perché alcune varietà di delfini, i tursiopi ad esempio, ormai hanno preso confidenza e sono visibili già dalle spiagge. Con le stenelle e gli zifii, queste sono alcune delle specie il cui numero è aumentato negli ultimi anni. Anche i capodogli si sono stabilizzati, a dispetto della recente moria segnalata nel Basso Tirreno: con 11 esemplari spiaggiati,probabilmente per un’infezione virale. A conferma che anche gli sbalzi di temperatura e l’inquinamento compromettono la salute di questi animali, che così finiscono con l’ammalarsi. Esattamente come noi umani.