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 2019  giugno 28 Venerdì calendario

Biografia di Rosellina Archinto

Rosellina Archinto (Maria Rosa Marconi), nata a Genova il 29 giugno 1933 (86 anni). Editrice. Fondatrice della Emme Edizioni e della Rosellino Archinto Editore, e cofondatrice, con la figlia Francesca Archinto, della Babalibri. «La signora della piccola editoria» (Pierangela Fiorani). «La lettura non può scomparire, perché, in mezzo a questo bombardamento di cose che ci arriva da fuori, mette ordine dentro di noi. Aiuta a pensare sia i bambini che gli adulti» • «Una nonna maestra d’asilo, un nonno impiegato alle poste. Un padre che è arrivato alla laurea in Ingegneria a forza di continue borse di studio. “La gavetta è quella di mio padre, non quella mia. Dal nulla a direttore generale di grandissime aziende come la Ansaldo”» (Claudio Sabelli Fioretti). «Perché “Rosellina”? Da dove viene il suo nome? “Viene da Maria Rosa, che era la mia nonna paterna. A mia madre non piaceva, e, siccome a Genova frequentava un’amica che si chiamava Rosellina, è venuto fuori quest’altro nome, molto più bello. Tutti mi hanno sempre chiamata Rosellina. A me piace”» (Katia Ippaso). «Io ho avuto una infanzia serena nonostante la guerra. A Genova, a Trieste, a Venezia e infine a Milano. Ricordo i primi anni a Milano, nel collegio delle Marcelline, con mia zia suora, quando la mamma non poteva tenermi perché il papà era molto malato. Ero una ragazza vivacissima». «La passione per i libri, l’ho sempre avuta, fin da bambina. Ricordo che con la farina e l’acqua creavo la colla per incollare dei ritagli di giornale e formavo dei quadernoni, quasi dei menabò». «Io leggevo tutto il giorno. Non c’era la tv, e papà era molto severo: non mi faceva mai uscire, quindi non potevo far altro» (ad Andrea Scarpa). «La mia cultura è nata su “La Scala d’Oro”: erano quei libri, editi negli anni Quaranta, in cui i romanzi classici, dai Viaggi di Gulliver ai Tre moschettieri, erano rielaborati per i piccoli lettori. Ho letto tutte le collane: prima quella per bambini, poi quella per adolescenti» (a Silvia Venuti). «La mia passione era Goethe: considero Le affinità elettive uno dei più bei libri che abbia letto. È stato uno choc, perché c’era tutto in quelle pagine, dalla fatalità all’amore». «Da ragazza mi piaceva la chimica, l’avrei studiata, ma a Milano non c’era la facoltà. Mi divertivo a pasticciare con le sostanze. Un giorno, per una polvere che avevo preparato, c’è stata un’esplosione. Risultato: ho fatto un buco nel balcone» (a Luca Pavanel). «Il latino, lo odiavo, ma il greco mi piaceva molto, al liceo. Però scelsi Economia, perché mio padre ci teneva molto». «La scelta poteva sembrare abbastanza stravagante. Soprattutto perché era la Cattolica di Milano. Al mio corso di laurea c’erano soltanto altre due donne, per dire la disparità allora imperante. In facoltà insegnavano personaggi come Amintore Fanfani e Pasquale Saraceno» (ad Antonio Gnoli). «Ho cercato di laurearmi alla svelta. Contemporaneamente facevo mille altre cose; suonavo il pianoforte. Come autore mi piaceva molto Grieg, la sua Primavera. […] La mia iniziazione musicale, da bambina, è avvenuta a Venezia, dove era sfollato pure Arturo Benedetti Michelangeli, che suonava al teatro La Fenice. Mia madre mi ci portava». «“Io mi laureai nel 1957 con una tesi sul mercato del lavoro con Beniamino Andreatta. […] Ma non è che volessi fare l’economista”. E suo padre come reagì? “Alla fine, bene. Era un uomo pragmatico: gestiva aziende e, soprattutto, aveva fatto la sua carriera venendo su dal niente. Conosceva, lui che proveniva da una famiglia non agiata, il valore della scelta e della possibilità di farcela da soli. Io mollai il sentiero dell’economia e mi indirizzai su quello che fin dall’inizio mi sembrava la cosa più naturale: il mondo dei libri”» (Gnoli). «Sono andata a lavorare con Gio Ponti, sempre occupandomi di libri; mi impegnavo, allora, anche per una rivista che si chiamava Novità, diventata poi Vogue». «“Poi arrivò il matrimonio, e con mio marito ci trasferimmo per un anno a New York”. Che periodo era? “Gli anni erano il 1959 e ’60. I più belli della mia vita. Frequentai dei corsi alla Columbia University di psicopedagogia e capii due cose. La prima, che c’era una grande creatività nella letteratura per l’infanzia; la seconda, che gli Stati Uniti erano all’avanguardia nella pubblicazione dei libri per bambini”» (Gnoli). «Scoprii dei libri per bambini stupendi e rivoluzionari rispetto a quelli che si pubblicavano in Italia: storie melense con illustrazioni ridicole e fuori dal tempo. La letteratura per l’infanzia americana era molto forte e astratta. Scoprii così il mio primo best seller, Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni, emigrato negli Stati Uniti con la famiglia a causa delle leggi razziali». «Le Emme Edizioni (Emme dall’iniziale di Marconi, il suo cognome da nubile) nacquero nel 1965: Rosellina era appena tornata a Milano da New York, […] e in una soffitta di corso Venezia, con i bambini che le giravano intorno, aveva messo su un micro-laboratorio d’avanguardia di libri per l’infanzia, rimasti in Italia ai canoni ottocenteschi. Le Emme Edizioni avrebbero fatto epoca, per la novità delle illustrazioni e della grafica e per la fantasia dei testi. Fu allora che Rosellina conobbe i grandi scrittori dell’epoca, giovani e vecchi, tutti coinvolti nel suo sogno: Natalia Ginzburg, Calvino, Arbasino, Citati, Moravia, Soldati, Manganelli, Sciascia. E gli illustratori italiani e stranieri più in voga: Munari, Ungerer, Canosa, Carle, Luzzati, Lionni, Sendak, Mordillo…» (Paolo Di Stefano). «“Avevo anche cominciato a frequentare le fiere internazionali. Per vedere, capire cosa fosse il mondo dell’editoria”. Non bastava però parlare correntemente l’inglese, il francese, il tedesco. “La prima volta che andai a Francoforte avevo 27- 28 anni. Ero una bella ragazza. Era difficile farsi prendere sul serio. Mi guardavano un po’ con curiosità, un po’ con sufficienza”. Chi l’ha aiutata? “Giangiacomo Feltrinelli. È stato lui a spiegarmi per primo cos’era l’editoria. A credere che facessi sul serio. E poi Giovanni Enriques. Con la Zanichelli fu anche il mio primo distributore”» (Fiorani) «Negli anni Settanta, ho iniziato una collana di psicopedagogia che si chiamava “Il puntoemme”, dove ho introdotto, aiutata da Graziano Cavallini, che è un grande psicopedagogista, una serie di autori di pedagogia e di psicanalisi infantile come Piaget, Dolto, Stern, che rappresentavano un riferimento importante per insegnanti e i genitori». «Sono gli anni in cui nell’appartamento di via Santa Valeria passano le loro serate Tadini, Pontiggia, Vittorini, Soldati, Buzzati, Scalfari, Eco, Nanda Pivano e Sottsass. E quando sono di passaggio a Milano vengono coinvolti anche Galbraith, Mary McCarthy, Revel. Una sera dei primi anni Settanta arrivò pure Marcuse, e la polizia circondò il palazzo per contenere l’assalto dei fan» (Di Stefano). Era «il gioco della domenica sera: chi era a Milano si infilava a casa mia». «Io avevo sempre nel congelatore grandi arrosti già preparati, e con le mie figlie che mi aiutavano a tagliare e a portare i piatti in tavola si passavano bellissime serate». «Allora la vita di tutti i giorni era fatta così: si andava a prendere il caffè con Vittorini, si incontrava Soldati per farsi raccontare le ultime sue storie. Era il mondo che era diverso. Cioè era più semplice. Anche perché poi leggevamo i libri che questi signori scrivevano. Leggevamo gli articoli dei giornali. La vita era fatta di conversazioni». «Nel 1985 Emme Edizioni fu ceduta. “Avevo avuto un periodo difficile, era morto mio marito. La Emme era cresciuta troppo”» (Fiorani). «Cedetti la casa editrice a un pazzo furioso che mi pagò con un assegno fasullo. A quel punto chiedemmo il fallimento. Fu un disastro. Nel caos che si creò andò perduto o distrutto anche l’archivio con tutte le lettere di Calvino, Citati, Arbasino, Soldati, che avevano collaborato con me per la collana “Grandi scrittori”». «Forse non avevo più idee, non so. Pensai che potevo godermi un po’ di benessere e relax. Dopo sei mesi ero stufa marcia di fare la signora, e pensai di creare una casa editrice per adulti, la Archinto». «Le edizioni Archinto vengono al mondo […] con le lettere a un’amica veneziana di Rainer Maria Rilke. Rosellina aveva trovato quel libro, in versione francese, su un banchetto parigino, e pensò di partire così. Poi vennero le lettere di Ennio Flaiano a Lilli: le ottenne grazie all’amico Giuliano Briganti, che conosceva Rosetta, la vedova dello scrittore. Terza uscita: le lettere di Goethe alla Signora von Stein, una scoperta fatta leggendo la biografia che Citati dedicò al poeta tedesco. Già con questi primi tre volumi si comincia a capire come lavora un vero editore: progetto, curiosità, cultura e amicizie intellettuali. Nel progetto di Rosellina, si sa, ci sono in primo luogo gli epistolari, una sua passione giovanile: lettere tra scrittori, tra amanti, tra amici e sodali, carteggi storici, di artisti, di pittori, di musicisti e di grandi personaggi. “Da ragazza divoravo i classici, poi ho scoperto che le lettere e i saggi mi divertivano molto di più: così, quando ho deciso di metter su una casa editrice ho scelto i carteggi, un genere che in Italia non ha mai avuto grande successo, diversamente che all’estero. Non puoi metterti a combattere con i grandi editori sul loro terreno: se vuoi sopravvivere devi specializzarti”. […] Sfogliare l’indice dei nomi del catalogo storico […] è sorprendente: i nomi della grande letteratura ci sono quasi tutti, anche per minuscoli testi, da Proust a Capote, da Mann a Gadda, da Flaubert e Balzac a Chandler. E non solo per le lettere, ma anche per i saggi degli Aquiloni e delle Mongolfiere, per la collana delle Biografie, per i romanzi, per le poesie, per le piccole Vele economiche, dove spicca il bestseller assoluto della casa, 84, Charing Cross Road di Helene Hanff, la storia epistolare del quasi amore tra una non proprio fortunata scrittrice americana e i librai antiquari Marks & Co. di Londra: “Lo comperai in aeroporto a New York in versione originale inglese e me ne innamorai”. Risultato: oltre 20 mila copie. Un’eccezione: di solito si naviga molto sotto. […] “La follia maggiore è stata nell’87 avere messo su la rivista ‘Leggere’, un’impresa quasi impossibile per le mie forze: abbiamo cominciato con Franco Marcoaldi e Maurizio Ciampa, poi è arrivato Antonio D’Orrico… Vendevamo 15 mila copie al mese, ed era una palestra per la casa editrice, uno spazio per i grandi scrittori internazionali, tutti disponibili. Abbiamo dovuto chiuderla dopo dieci anni”» (Di Stefano). Nel 1999 una nuova iniziativa editoriale, «condivisa con la figlia Francesca, vede riaffiorare la vocazione per i più piccoli. “Babalibri, che facciamo in simbiosi con L’école des loisirs, ha molto successo. Ci ha consentito di riprendere Piccolo blu e piccolo giallo, che è diventato un best seller, insieme a Sendak, che con Emme ero riuscita a portare allora anche in America”» (Fiorani). Nel 2003 cedette al gruppo Rcs la maggioranza delle azioni della Rosellina Archinto Editore, ma, in vista della fusione con Mondadori, «nel luglio del 2015 Archinto ha ricomprato tutte le quote che aveva venduto. […] “Qualcuno dirà che sono una vecchia pazza, ma l’ho fatto solo perché voglio continuare a fare libri a modo mio, con una linea editoriale seria e una base culturale forte. Siccome loro della Rcs mi sembravano interessati solo ai bestseller e poco o niente alle mie proposte, mi sono decisa e ho fatto quello che dovevo fare. Adesso, però, sono povera in canna. […] Ho ricomprato la mia Rosellina Archinto Editore per continuare a fare come mi pare. Se voglio pubblicare epistolari e saggi, li pubblico. Se non voglio, faccio altro”. […] Per arrivare fin qui c’è voluta più incoscienza o coraggio? “Incoscienza: guardi questa faccenda della Archinto. Solo una come me poteva farla. Oddio, avrei dovuto lasciar perdere tutto e restare a casa a fare la calza?”» (Scarpa) • Breve parentesi politica all’inizio degli anni Novanta: eletta consigliere comunale di Milano nel 1990 come indipendente tra le file dei repubblicani, «nel 1993 accettò anche – come indipendente del Pri – la candidatura per diventare sindaco, poi affossata dal Pds. “Me lo offrirono, e dissi di sì perché fiera di essere laica e repubblicana. Il mio Pri era un partito con politici seri e onesti come Spadolini e Visentini, in città avevamo l’11 per cento dei voti, e buona parte della società laica milanese era repubblicana. Ma ci fu il veto del Pds… Poi arrivò la Lega: si sfaldò tutto, e lasciai perdere”» (Scarpa) • Cinque figli da Alberto Archinto, sposato nel 1958. Lunga e discreta la relazione sentimentale con l’imprenditore Leopoldo Pirelli (1925-2007). «Ho conosciuto mio marito all’università. Eravamo due ragazzi che si divertivano a fare delle cose insieme. Con Leopoldo invece ho trovato l’amore della maturità. Lui era una persona davvero speciale». «Ci eravamo incontrati a Milano, e lui mi faceva un po’ di corte. Io ero una signora sposata con cinque figli, non mi mancava il senso di responsabilità. Leopoldo, che aveva dieci anni di più, mi dimostrò molto amore. Decise di separarsi per vivere con me. Io lasciai passare un paio d’anni, poi decisi anche io di separarmi. Nel 1972 rendemmo pubblico il nostro legame, ma non abbiamo mai vissuto insieme. I figli sono rimasti la mia priorità, e Leopoldo fu comprensivo. Così i week-end e l’estate divennero il tempo solo per noi. Il nostro era un legame fortissimo, nella reciproca autonomia. […] Per Leopoldo rappresentavo la scoperta di un altro mondo. Un’altra possibilità di vita, oltre la casa e l’azienda. La prima volta che lo vidi mi apparve come afflosciato in un sacchetto di vestiti, schiacciato dal peso di una storia più ampia. Credo di averlo travolto con la mia vitalità, il mio ottimismo: del bicchiere io vedevo sempre il mezzo pieno, lui il mezzo vuoto. E poi lo divertivano le serate con gli amici scrittori e musicisti, da Arbasino a Pollini ed Abbado. […] Avrebbe voluto avere una bella vecchiaia, con me al fianco. Io avevo più tempo da dedicargli, i figli ormai cresciuti. Quando mi capita di incrociare per la strada coppie di persone della nostra età, sono invasa dalla malinconia. Mi vengono in mente quei versi di Montale: "Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale, e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino"» (a Simonetta Fiori) • «“Adoro la Liguria, me la sento dentro. Sono nata a Genova, in via Assarotti. Ma ho sempre vissuto a Santa Margherita, casa mia in tutti i sensi nei weekend via da Milano. D’estate e d’inverno». «A volte, quando avverto il bisogno di liberare la testa, prendo la macchina e vado su quei tratti di mare che hanno segnato la mia vita, i miei rapporti, le mie amicizie. Mi lascio invadere da un presente amico più che da un passato impossibile». «Adoro il mare. D’inverno è meraviglioso. La gioia autentica è sedersi su una panchina e guardare il mare. Posso starci ore. Il mare è un miracolo”. […] La barca? “A vela, da ragazzina. Da sola. Le cose più belle della vita: mare e silenzio in barca”. Il suo compagno, Leopoldo Pirelli, era fior di velista. “Quando il mare era in burrasca e c’era una sola barca fuori, senza neppure guardare dicevano: è l’ingegnere”. Le ha mai lasciato il timone? “Certo. Ero brava”» (Patrizia Albanese) • «“Io di base sono di sinistra. Lo ero da giovane, e […] mi prendevano in giro. Dicevano: testa a sinistra e portafoglio a destra… Palate di melma. O mi regalavano le poesie di Bakunin. Però ora è un momento difficile”. Colpe della sinistra? “È scomparsa, diciamo la verità. Se penso alle battaglie degli anni Ottanta-Novanta… Ora non c’è più quello spirito”. Come se ne esce? “Non lo so. Speriamo Zingaretti abbia un carattere tosto per fare una politica seria di sinistra. Ero venuta apposta a Santa Margherita, per votarlo alle primarie…”» (Albanese) • «Mi piace guidare l’auto, vado ancora in giro. A teatro mi trascina una delle mie figlie; mi piace il cinema, ho adorato il regista Billy Wilder. Il mio attore preferito lo sanno tutti, ho persino le sue foto in casa, Gary Cooper; con il suo nome e cognome avevo chiamato i miei due cani» • «Ho un telefonino scrauso, che lascio ovunque. Non ne sono dipendente. E anche le mail, che devo per forza usare, le stampo. Ho bisogno della carta». «Leggo e invio le mail, compro i libri su Amazon e basta. Per il resto, lavoro, e non mi piace perdere tempo a fare stronzate su internet». «L’editoria sta vivendo una stagione difficilissima. Io, vista la mia età e la mia vita, sostengo la carta. Non so se vincerà: so solo che faccio fatica a leggere un libro sul computer. Il pc va bene per il lavoro e i contratti, per il resto meglio il cartaceo. Si pensi all’odore del libro appena stampato. Quando ero giovane andavo per tipografie a vedere i tipi di stampa: un’emozione. Purtroppo questa parte non esiste quasi più» • «Epistolari letti, amati e pubblicati. Perché proprio questo genere? “È come un abito, in cui la fodera è più bella del tessuto stesso. Quasi tutti i grandi hanno scritto lettere. Che erano vere, spontanee: personali. Non sapevano che sarebbero state lette da tutti, come invece i loro libri”. Il più sorprendente? “Freud. Mi era molto antipatico. Ho cambiato idea leggendo le sue lettere ai figli. Le lettere fanno scoprire la vera essenza della persona”. Altri “insospettabili”? “Maria Teresa D’Austria e Maria Antonietta. Rilke… Scriveva lettere meravigliose. E Goethe: ‘… prima fragola del mio giardino…’”. Lei scrive, ovvio… “Con la stilografica. Ho cassetti pieni di carta da lettere”. D’amore? “Ne ho ricevute, da molto giovane. E mia madre me le strappava…”» (Albanese). «Di lettere, non ne scrivo più. Ormai, alla mia età, a mano si scrivono solo i biglietti di condoglianze» • «Bisogna preservare la lingua italiana, che sta sparendo. E s’è appiattita in modo spaventoso. La battaglia politica sul recupero del dialetto dovrebbe partire prima dalla lingua italiana» • «Ci sarà pure uno scrittore italiano contemporaneo che le piace. “Vuole la verità? Io faccio parte della giuria del Premio Strega e del Bagutta. Ne leggo una quantità gigantesca, ma, se devo dirle che qualche libro mi abbia segnata, non posso dirlo”» (Ippaso) • «“Io ho sempre letto moltissimo, ma non saprei scrivere quattro righe. Una totale incapacità alla scrittura, alla bella prosa. Per questo resto ipnotizzata davanti allo scrittore”. Non le crea una qualche frustrazione? “No. Mi consolo pensando che scrivere sia diventata un’attività estesa e forsennata. Perfino farsesca. Investe tutti senza distinzione sociale o di merito. Preferisco leggerli, i libri, e capire quando sono belli”. E come fa? “Boh: istinto, direi. Forse esperienza. Spesso mi piace pubblicare ciò che non conosco e che mi sorprende”» (Gnoli) • «Ho sempre avuto un difetto: la mancanza di pazienza. […] Però ho un pregio: un’onestà intellettuale pazzesca» • «Nome sonante della vecchia aristocrazia e della cultura milanese. Di lei dicevano i maligni: “Ha il cuore a sinistra e il portafoglio a destra”. Dicevano anche: “Fa libri per bambini. Per i figli degli architetti”. […] “Dicevano così perché i libri costavano cari ed erano molto raffinati. Ma costavano cari perché i libri illustrati costano cari. Ed erano talmente raffinati che li vendo ancora oggi”» (Sabelli Fioretti). «La signora del “salotto radical chic”, come lo definiva Montanelli. […] “Lo considero un grandissimo giornalista, uomo intelligente e simpatico. […] Lui mi invitava a mangiare fagioli in uno dei suoi ristoranti preferiti. Definiva ‘radical chic’ il mio salotto perché era un po’ polemico, e poi a volte aveva queste sue puntate da toscano cattivo. Facevamo delle belle chiacchiere. Eravamo diversi, lui era uno di destra e io no, ma parlavamo di tante cose. Era un uomo molto intelligente e, insisto, un grande giornalista: questo bisogna dirlo e stradirlo”» (Pavanel) • «Se avessi avuto barba e baffi, sarebbe stato tutto più facile. Ero una ragazzina, e con idee che all’epoca sembravano bislacche. Se avessi mollato allora, quando mi prendevano in giro perché dicevo che volevo rivoluzionare la letteratura per l’infanzia, non avrei costruito tutto questo. Oggi fanno le tesi sulle mie scelte di allora». «Diciamo la verità, non avevo bisogno di guadagnarmi la pagnotta, così ho potuto continuare tra momenti d’oro e momenti no. Detto questo, però, aggiungo che, essendo un’ottimista per natura, non ho mai smesso di andare in cerca di quei pochi che amano leggere». «Si è pentita di aver ricomprato le quote della sua casa editrice? “Assolutamente no. Anche se l’editoria è un mestiere molto difficile. Gli italiani leggono sempre meno, e soprattutto non comprano i libri. In più, i miei sono particolarmente difficili. Però non mi lamento. Non sarebbe nel mio carattere”. […] Invecchiare le fa paura? “Se uno prende male il fatto di invecchiare, si spara, quindi tanto vale prenderlo bene. Io faccio mia una frase della Regina d’Inghilterra: ‘I’m still alive’. Il fatto di essere ancora viva mi entusiasma”» (Ippaso). «Il pensiero fisso di tutta la sua vita qual è stato? “Pubblicare sempre libri sensati, mai puttanate. Che non ho mai fatto. Ogni tanto ho sbagliato, ma puttanate… mai”. Si è mai pentita di qualcosa? “Sì, certo. Più che pentimento, però, è una constatazione: non avere mai avuto senso commerciale. Sono proprio negata, e questo mi ha sempre intristito. Ancora oggi, quando mi ritrovo il libro in mano con il mio nome, bello, stampato e finito, per me è fatta. E invece non è così”. […] La puttanata della vita, allora, qual è stata? “Aver venduto la Emme Edizioni nel 1985. Quel periodo, però, dopo il ’68 e il ’77, era così difficile…”. La delusione più cocente? “Il trattamento subìto negli anni ’70 da certa gente con la puzza sotto il naso: ero una bella ragazza e dicevano che per me fare libri per bambini era un hobby. Un gioco”. Si è presa le sue rivincite? “Qualcuna, non tutte. Ma ormai sono vecchia. Non posso più togliermele come vorrei”. L’ultima soddisfazione? “La Legion d’onore avuta dai francesi. Con loro ho sempre lavorato tanto e bene”. […] Adesso che cosa deve dimostrare a se stessa? “Che non mollo mai. Resto in piedi e lotto. Sempre”» (Scarpa). «I suoi progetti per il futuro? “Invecchiare facendo libri, continuare a fare libri fin che ho vita”» (Venuti) • «Il legame con il passato è spesso una ghirlanda di fiori appassiti. Al cui pensiero inorridisco. C’è gente che trascorre la propria vita a guardarsi continuamente indietro. Ho amiche che rimpiangono la loro antica bellezza, che si disperano per il tempo che passa e che ci offende. Io dico che il passato porta solo tristezza. Va ricordato, certo. Ma senza nostalgia. Senza panzane psicologiche. Bisogna riuscire ad accettarsi. Io mi sono sempre accettata. Tanto più adesso che i giochi sono fatti. La vecchiaia, diceva il pittore Matta, è meglio di niente». «Non amo il bridge né il burraco, non gioco a golf e non mi piace fare shopping. Ho cominciato a lavorare a vent’anni e ho sempre avuto una vita piena, ho tirato su i bambini, ho fatto dei bei libri, se adesso sono stanca di Milano salto in auto e vado a Santa Margherita, mi siedo su una panchina, mi guardo il mare e torno indietro tutta contenta. Cosa posso volere di più?».