Il Messaggero, 27 giugno 2019
Manduria, la baby gang con le maschere
TARANTO Colpivano con calci e pugni un uomo inerte e terrorizzato, mentre uno di loro filmava e poi condivideva in chat i video. La «banda degli orfanelli» è stata incastrata a Manduria, il 30 aprile scorso a seguito della morte del 66enne Antonio Stano. E ieri la Procura ha chiuso anche il secondo filone d’indagine notificando altre nove ordinanze di custodia cautelare a un maggiorenne e a otto minori, due dei quali già fermati ad aprile.
Sono accusati anch’essi di tortura, lesioni, danneggiamento e violazione di domicilio aggravati sempre ai danni di Stano, e di una seconda vittima presa a bersaglio in un solo episodio. Il gip Paola Morelli ha disposto per sei minorenni la custodia cautelare nell’istituto penale minorile di Bari e per altri due, già agli arresti, il collocamento presso una Comunità il cui responsabile vigilerà sul comportamento e collaborerà con i Servizi minorili. Il giudice, disponendo la carcerazione, conferma che i «familiari non danno garanzie di intervento contenitivo educativo e di controllo».
Rispondendo ai giornalisti il procuratore Carlo Maria Capristo ha espresso perplessità anche sul ruolo della chiesa di San Giovanni Bosco: «Questa struttura religiosa che raccoglieva tanti minori, compresi quelli responsabili di queste azioni, ci ha lasciati, uso un eufemismo, perplessi, per non essere intervenuta in tempo utile».
L’inchiesta, oltre a ricostruire le azioni stile «Arancia Meccanica» del gruppo, ha portato alla scoperta di una seconda banda che si faceva chiamare «L’Ultima di carniali» (L’ultima di Carnevale) e della nuova vittima. Un 53enne affetto da «insufficienza mentale grave», preso di mira il primo aprile scorso.
In quattro, due minori e due maggiorenni, lo attirarono di notte all’esterno della sua abitazione. Venne poi colpito da un calcio che lo fece stramazzare al suolo e da pugni al volto, con la perdita di due denti e lesioni permanenti alla masticazione.
Tutti episodi di violenza gratuita che il gruppo di giovanissimi organizzava per divertimento e prova di forza fra amici. Tanto che la chat fra i ragazzi documenta che la mancata partecipazione alle aggressioni veniva bollata come mancanza di coraggio.
I nuovi arresti scaturiscono dal ritrovamento del cosiddetto «file nativo». L’ha scovato il consulente tecnico della Procura negli smartphone sequestrati dopo gli arresti del 30 aprile scorso. Passando al setaccio sms, scambi su WhatsApp e video è risalito fino al momento iniziale del racconto degli orrori e da lì ha seguito tutta la storia ricostruendo episodi inediti e datandoli con precisione. «Questo file è stato fondamentale — dice il procuratore per i minori Antonella Montanaro —. Ci ha permesso di ottenere datazione degli eventi e geolocalizzazione. Insieme alle chat e ai riscontri ricavati da interrogatori di persone informate sui fatti abbiamo ricostruito il quadro completo».