Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  giugno 27 Giovedì calendario

Biografia di Peter Selz

Peter Selz (1919-2019). Critico d’arte tedesco naturalizzato statunitense. Coniò la Funk Art. «Aveva 100 anni. Nato a Monaco di Baviera il 27 marzo 1919 da una famiglia ebrea, fuggì con i genitori dalla Germania nazista e sì rifugiò negli Usa nel 1936. Era professore emerito dell’Università di Berkeley in California, dove fondò nel 1965 il Museo di arte moderna, che poi diresse fino al 1973. Studioso dell’Espressionismo tedesco, autore di molti testi critici sulle avanguardie artistiche del Novecento, Selz è stato anche curatore di mostre per il Museo di arte moderna (Moma) di New York. Coniò il termine funk, derivato da funky (un termine musicale) per definire l’arte presentata in una mostra del 1967 che si tenne proprio al Museo di Berkeley. Alla mostra, che consacrò ufficialmente la Funk Art, parteciparono tra gli altri artisti come A. Acton, J. Anderson, R. Arneson, S. Bitney, B. Conner, R. Hudson, H. Paris, D. Potts, P. Voulkos e W.T. Wiley. Contrapponendosi all’indirizzo minimalista, la Funk Art allude a modi caldi e sensuali, antiaccademici, all’occorrenza sgradevoli. Predilige assemblages e sculture, spesso inedite combinazioni di materiali poveri, naturali e artificiali, in una sintesi di spunti dada e surrealisti, mediati attraverso Rauschenberg e la cultura pop. L’aggettivo Funk vuol significare qualcosa di ordinario, banale ed anche un po’ stupido, non particolarmente bello né originale, tanto che circolava all’epoca a tal proposito questa battuta: il pubblico spesso chiedeva agli artisti, vedendo le opere esposte “e voi questa la chiamate arte?” e loro rispondevano “no, noi la chiamiamo George!” (o qualche altro nome a caso), denunciando già da questo primo approccio il carattere di una forma espressiva che vuol essere innanzi tutto provocatoria, volutamente volgare e sgradevole» [Martini, AdnKronos].