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 2019  giugno 27 Giovedì calendario

Chi studia musica va meglio a scuola

Se siete molto brocchi in matematica, o in scienze oppure in inglese, prima di darvi all’ippica provate con la musica: forse non sarà l’incantesimo che vi farà capire di colpo la trigonometria e il genitivo sassone, ma qualcosa, secondo uno studio pubblicato sul Journal of Educational Psychology, potrebbe succedere. Alcuni ricercatori, infatti, hanno esaminato i registri scolastici di 112mila studenti della Columbia Britannica. E i ragazzi che avevano partecipato a corsi di musica, tra pianoforte, orchestra, jazz, canto, avevano ottenuto valutazioni più alte in tre materie: scienze, matematica e inglese. Non è un’idea nuova, sono oltre 25 anni che si cerca di capire come la musica interagisce come “palestra” con il cervello: era il 1993 quando per la prima volta si parlò di Effetto Mozart. Due americani, il neurobiologo Gordon Shaw e il fisico Frances Rauscher, in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Nature, sostenevano che ascoltare la sonata in Re maggiore per due pianoforti di Mozart, la K 448, aumentasse almeno temporaneamente l’intelligenza. Per dimostrarlo avevano diviso degli studenti in tre gruppi: al primo fecero ascoltare un musica strumentale rilassante, al secondo la sonata di Mozart di cui sopra, il terzo rimase nel silenzio. Una volta terminato l’ascolto, i ragazzi vennero sottoposti a un test d’intelligenza su ragionamenti in cui la mente avrebbe dovuto lavorare con i concetti si spazio e di tempo.

PIÙ FACILE CON MOZART
Le propaggini di Mozart arrivarono a fare ottenere mediamente dieci punti in più rispetto ad altra musica o al silenzio. L’Effetto Mozart, tuttavia, al tempo non ha avuto molta fortuna: alcuni ricercatori contestarono che non era stato loro consentito di ripetere l’esperimento, altri dissero che il test compilato dagli studenti stimolava solo un determinato tipo di intelligenza, altri ancora che gli effetti sul cervello sono momentanei, niente che duri più di una quindicina di minuti (a meno di non passare le giornate con la K.488 in cuffia). Eppure anni dopo qualcuno ci ha riprovato e ha ri-dimostrato la teoria: nel 1998, arrivarono rinforzi dal Dipartimento di psicologia dell’Università del Wisconsin. Niente gruppi di studenti stavolta, ma tre gruppi di ratti. Il primo fu esposto all’ascolto della sonata K.448, il secondo a musica minimalista, il terzo al silenzio. Il loro test consisteva nel ritrovare l’uscita di un labirinto; e sì, i ratti del compositore austriaco ci riuscirono molto più facilmente di quelli degli altri due gruppi. Le conclusioni? Ascoltare Mozart, e soprattutto quelle due sonate, aumenta temporaneamente l’intelligenza spazio temporale, quella che riguarda l’analisi delle forme, della posizione degli oggetti nello spazio, del senso dell’orientamento. Parallelamente, da molti anni fioccano ricerche, soprattutto dall’ambito delle neuroscienze, su che cosa succede nel cervello dei musicisti. Da chi dice che è come se ci fosse un party, chi giura che si attivano meccanismi simili ai fuochi d’artificio: nel 2015 Anita Collin, durante il suo dottorato all’università di Melbourne, ha studiato, grazie alla risonanza magnetica e la tomografia a emissione di positroni, le reazioni del nostro cervello quando ascoltiamo o studiamo musica.

I DUE EMISFERI
Quando leggiamo o facciamo calcoli, scrive la Collin, vengono stimolate specifiche aree del cervello. È solo durante l’ascolto della musica e, ancora di più, quando si suona, che vengono coinvolte più aree nello stesso momento. Il cervello, si legge nello studio, si trova costretto a fare più cose contemporaneamente: dall’analisi degli elementi della canzone, come il ritmo, la melodia, la velocità, a compiere azioni visive, la lettura delle note, fino alla stimolazione dell’area motoria, perché il cervello deve dire alle mani che cosa fare. Tutto ciò coinvolge la parte destra e anche la sinistra del cervello, sviluppando il corpus callosus, ovvero l’organo che fa da tramite tra i due emisferi. Le conclusioni? I musicisti hanno una più spiccata capacità nella risoluzione dei problemi, sanno gestire attività interconnesse tra loro, riescono ad analizzare insieme aspetti cognitivi ed emotivi. Non è finita qui: hanno una memoria migliore perché è strutturata, cioè divisa “per etichette”, per argomenti, come un archivio. Ragion per cui, ascoltare musica forse rende più intelligenti per un po’, ma suonarla dà risultati decisamente migliori: i musicisti sanno far meglio di calcolo, ci capiscono di più nelle scienze e pure nelle materie umanistiche: «Per imparare a suonare uno strumento musicale», ha spiegato Peter Gouzouasis, il ricercatore dell’università British Columbia che ha collaborato alla stesura dell’articolo pubblicato sul Journal of Educational Psychology, «uno studente deve imparare a leggere le note, sviluppare la coordinazione occhio-mano-mente, affinare le capacità di ascolto e, se suona in un ensamble, anche disciplina e abilità di squadra. Tutte queste esperienze di apprendimento hanno un ruolo nel migliorare le capacità cognitive».