il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2019
Domande e risposte sulla Sea Watch
La nave Sea Watch 3, di una Ong tedesca, ha deciso di violare il “blocco” imposto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Ecco le cose fondamentali da sapere per capire i termini della questione.
Cosa rischia il capitano della Sea Watch 3 Carola Rackete?
Sulla base del decreto Sicurezza bis, in vigore dal 15 giugno, rischia una sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro. Se la violazione del divieto di attracco verrà considerata una “reiterazione commessa con l’utilizzo della medesima nave” (anche se i precedenti sbarchi erano pre-decreto Sicurezza bis), c’è anche la confisca della barca. Il capitano Rackete rischia anche conseguenze penali se il suo comportamento sarà considerato un reato da qualche pm.
Perché la Sea Watch porta i migranti proprio in Italia?
L’Ong ha salvato 43 persone nella zona di ricerca e soccorso di competenza della Libia. Una competenza più teorica che concreta, visto che il fragile governo di Tripoli ha sempre faticato a presidiarla, ancor di più ora che il Paese è di nuovo sull’orlo della guerra civile. Come hanno ammesso i legali di Sea Watch, la nave ha chiesto a Olanda (il Paese di cui batte bandiera), Italia e Malta (gli altri due Paesi vicini) dove sbarcare i migranti salvati. La risposta è stata la Libia, “così di fatto auspicando il respingimento di tutti i naufraghi in un Paese attraversato da una guerra civile e dal quale questi fuggivano per mettersi in salvo dalla detenzione e dalle torture”. Quindi la scelta di andare verso l’Italia è stata in violazione delle indicazioni ricevute, perché la Ong non riconosce la Libia come un porto sicuro, la stessa valutazione dell’Onu che non la classifica come “Pos”, cioè place of safety.
Cosa poteva fare l’Europa?
Poco. Nonostante le tante promesse di Matteo Salvini, le regole non sono mai cambiate: i richiedenti asilo sono di competenza del Paese di identificazione, sulla base del regolamento di Dublino, e l’unico meccanismo di condivisione scatta dopo lo sbarco e l’identificazione ma è comunque, di fatto, su base volontaria. Molti Paesi rifiutano di accogliere i richiedenti asilo della loro “quota” e la Commissione europea non ha gli strumenti giuridici per imporsi. Salvini ha scritto al governo olandese, lo “Stato bandiera” della Sea Watch 3, e si è appellato alla Germania, dove è basata la Ong. Ma non ha basi giuridiche per costringere questi due Paesi a intervenire sulla nave o ad accogliere i migranti.
Il governo poteva tenere i migranti davanti alle coste “fino a Natale” come minacciato da Salvini?
Sì e no. Dopo un’ispezione sanitaria, il 15 giugno dieci persone su 43 sono sbarcate comunque, un altro il 21 giugno: tre famiglie con bambini e donne incinte. Nonostante i “porti chiusi”, non ci sono basi legali per evitare che chi è in pericolo di vita o in gravi condizioni sanitarie venga costretto a rimanere in mare. Proprio perché le persone rimaste a bordo non erano in immediato pericolo, sia il Tar che la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) hanno respinto i ricorsi di Sea Watch che chiedevano di poter sbarcare i migranti contro il parere del Viminale. Però, nella sua sentenza del 25 giugno, la Cedu ha comunque stabilito che le persone sulla Sea Watch 3 sono sotto la responsabilità del governo italiano che deve “continuare a fornire l’assistenza necessaria alle persone a bordo e che sono in una condizione di vulnerabilità come conseguenza della loro età o stato di salute”.
La linea dura di Salvini sulle Ong sta funzionando?
Secondo i dati del Viminale, tra primo gennaio e 25 giugno sono sbarcati in Italia 72.994 nel 2017, 16.438 nel 2018, 2.456 nel 2019. Matteo Villa dell’Ispi, però, nota che la presenza delle Ong davanti alle coste, ormai azzerata, non sembra fare differenza: tra 1 maggio e 21 giugno dalla Libia sono partite almeno 3.962 persone, 431 quando le Ong erano al largo delle coste libiche, 3.495 senza nessuna nave europea ufficialmente in mare. Di sicuro, come si vede nei video dell’agenzia europea Frontex, i trafficanti sono tornati alla tattica che usavano prima che le Ong sostituissero le navi militari europee al largo della Libia: usano “navi madri” per il grosso del tragitto poi caricano le persone su barchini precari da far arrivare sulle coste italiane. Con questo sistema, a Lampedusa sono sbarcate 300 persone nell’ultimo mese. Ma su queste Salvini ha avuto poco o niente da dire.