Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  giugno 27 Giovedì calendario

Aumentano gli atei tra gli arabi

Non so se Dio esista, ma se esiste e a me tocca curare le malattie alla cui mercé lascia i bambini dev’essere veramente cattivo». Così parlò Sharif, oncologo del reparto di pediatria di un grande ospedale privato egiziano, in una calda sera cairota di qualche tempo fa. Come oltre l’85% dei suoi connazionali Sharif è nato e cresciuto musulmano in una società che pur secolarizzandosi nei costumi considera la fede il paradigma della vita e l’ateismo il più inviolabile dei tabù.
Eppure Sharif non è l’unico: il dubbio illuminista a cui finora sembrava immune la umma, la grande famiglia dell’Islam, comincia a insinuarsi anche all’ombra del Corano, il testo ininterpretabile per eccellenza e dunque indiscutibile nel suo ruolo di guida morale e politica, come ben sanno i riformisti alla Muhammad Taha, il teologo sudanese nemico della sharia impiccato nel 1985 con l’accusa di apostasia.
Secondo una recentissima ricerca dell’Arab Barometer in 10 diversi Paesi del Nord Africa e del Medioriente, gli arabi, un quinto dell’oltre miliardo e mezzo di musulmani del mondo, sono sempre più inclini a mettere in discussione il proprio credo. Parliamo di cifre ancora ridotte rispetto all’Occidente, ma è un fatto che la percentuale di chi si definisce «non religioso» sia passata in media dall’8% del 2013 al 13% del 2019. Tra gli under 30 poi, il fenomeno è ancora più significativo: con l’eccezione dei palestinesi, popolo un tempo assai meno religioso di quanto sia oggi (i non credenti si sono spostati appena dall’8% al 9%), un giovane su cinque non riconosce la dimensione confessionale come fulcro della propria identità.
I Paesi più laici
Ogni società fa storia a parte, ovviamente. Nello studio dell’Arab Barometer l’attitudine alla religione viene misurata insieme a quella verso la condizione femminile, la sicurezza, il rapporto con la sessualità. Non stupisce dunque che l’avanzata della laicità sia maggiore laddove il terreno è più fertile come in Tunisia, con il coming out dei renitenti alla fede (dal 16% al 35%) germogliato in un Paese in cui sin dagli anni ’50 è bandita la poligamia, le donne votano e accedono alle cariche pubbliche mentre l’aborto è legale dal 1965, assai in anticipo rispetto all’America e a diverse realtà europee. Tunisia a parte però, gli «obiettori» crescono a macchia d’olio: in Libia (dall’11% al 25%), in Algeria (dall’8% al 13%), in Marocco (dal 4% al 12%), in Egitto (dal 12%).
Il punto non è la dimensione spirituale, che per altro l’occidente laico inizia ora a riscoprire. La cieca sottomissione a Dio diventa la cifra di un’immobilità sociale asfittica se religione e politica si sovrappongono, come quasi ovunque nel mondo musulmano. È interessante perciò che dopo il 2011, la promettente stagione delle rivolte arabe troppo rapidamente sfiorita, la domanda sull’aldilà si sia fatta strada proprio tra chi aveva osato sfidare poteri e regimi inamovibili.
Una moda per 3 milioni
A mettere nero su bianco il cambio di passo è stato nel 2013 il libro del reporter inglese Brian Whitaker “Arabs without God”, Arabi senza Dio, una serie di storie di non credenti circolate all’inizio in modo quasi clandestino, considerando che Riad giudica l’ateismo al pari del terrorismo mentre l’Egitto di Al Sisi, d’intesa con l’università al Ahzar e la Chiesa ortodossa, ha giurato di far guerra a «una moda» che un giornale locale di qualche anno fa stimava aver contagiato già 3 milioni di giovani.
Più laici dunque, per quanto in arabo la parola non sia neppure ben traducibile. Ma anche più disponibili a una donna presidente (oltre il 50%), sebbene ad eccezione del Marocco la maggioranza creda ancora che il marito abbia priorità sulla moglie. Resta vivo il pregiudizio sull’omosessualità, l’ultima frontiera identitaria dopo aver intaccato un po’ quella della fede. Un po’, non del tutto: basta pensare che se Putin surclassa di gran lunga Trump nell’immaginario politico arabo è zero rispetto all’adorazione per Erdogan, il religioissimo presidente turco. —