Il Messaggero, 26 giugno 2019
La vita delle sorelle Bouvier
Parafrasando potremmo dire che la loro vita trascorse A piedi nudi tra i soldi, perdendoci nelle tante patinate immagini di due ragazze, wasp, forse troppo, ad un certo punto le più fotografate del mondo.
Jacks e Pekes Bouvier, figlie di Jack Bouvier III, banchiere, di grande fascino e allegria, pendolare dell’amore’, discendente, forse, di un falegname francese che aveva lavorato per il fratello di Napoleone, e di Janet Lee, figlia del maggiore James Thomas Aloysius Lee, facoltoso arrampicatore sociale. Sorelle che quel si sono date si son tolte. Che a sentire Caroline, per tutti Lee come il cognome della madre, la sorella parlava un francese incantevole e convincente, ma fu lei ad aver vissuto come una francese.
ELEGANZA
Perché Lee era più alta, più bella, più esatta e più prepotentemente educata alle forme, alle relazioni, all’eleganza, che altro non è che attitudine al bello. Perché Lee disse alla sorella di vestire anche Givenchy e non solo gli americani. Perché Lee detestava come i capelli della sorella si acconciassero male non avendo quest’ultima una fronte ampia, ma l’attaccatura bassa del padre Jack. Perché Lee frequentava riviste, redazioni, deliziosi e feroci omosessuali, uno per tutti, Truman Capote.
Perché Lee mai abbandonò le vacanze sulla Cotê.
Cavalcava, dipingeva, si spingeva tra le onde. Si dichiarò lei al primo marito. E pretese con se stessa che il secondo fosse un aristocratico bielorusso, Stanislaw Albrecht Radziwill. Lei, quindi, Principessa Serenissima.
Lee visse tutt’altro che da devota moglie e paziente madre di dodici figli come sua madre, scherzando, immaginava le sarebbe accaduto.
Lee desiderava. Oggi si direbbe di lei socialite, influencer ed arrivista.
FUGA
Perché Lee probabilmente doveva fuggire e sfuggire dal cliché americano quando ad un certo punto la sorella divenne l’America.
La sorella che Lee non chiamò mai, parlando con terzi, con il suo nome: Jackie o tanto meno Jackqueline.
La ragazza dal viso quadrato, dalle mani e piedi e spalle fuori misura rispetto all’altezza e alla magrezza. La ragazza che aveva gli occhi così distanti che per un paio di occhiali, ahinoi, le toccava aspettare tre settimane. La ragazza il cui profumo era sottile e il cui sguardo era intenso e stanco di letture. Leggeva tanto, i miei idoli erano Byron, Mowgli, Robin Hood, il nonno del piccolo Lord e Rossella O’Hara.
Jackie, figlia prediletta di Black Jack, così soprannominato il padre sempre abbronzato che si caricava le figlie sulle spalle e le lanciava tra i flutti. Adorate dal padre, adorate dai nonni, il paterno, banchiere anch’egli, colto e snob, quello materno ricco che le preservò dalla debacle del genero.
Ma Lee pianse quando John-John annunciò al mondo, il 19 maggio del 1994, che sua madre Jackie era morta alle sue condizioni. Lee pianse perché non l’aveva mai lasciata da quando a Jackie fu diagnosticato un linfoma non Hodgkin che la consumò presto, ma non le tolse il piacere di circondarsi della sua famiglia nell’attico di Manhattan.
Jackie non le lasciò nulla. Lee non lo capì mai. Jackie era ricchissima. Lee per vivere dovette vendere case, terreni, gioielli. Jackie lasciò somme di danaro ai figli di Lee, ma alla sorella ritenne di dover lasciare quel doppio filo d’amore e di odio, di competizione e non detto, di gelosie non metabolizzate, un filo che scorse tra loro per tutta l’esistenza.
Ma la gente sa che vivere una favola può essere un inferno?
Lee visse della favola anche un flirt con Onassis. E forse anche con il cognato John. Lee erano due donne insieme. Lei fu l’influencer della sorella, ma la favola vera la visse solo di riflesso.
Jackie era figlia del’29. Negli anni sessanta, seconda ondata di femminismo, questa fanciulla provò l’ebbrezza di poter dettare mode, sguardi, di prendersi libertà, ma conobbe il giogo della cattolicissima Dinastia d’America. Jackie inventò quella magnifica casella che sino ad oggi è la più ambita al mondo, essere la First. Oscurò, autorizzata, con i suoi pantaloni Capri, le camicie con le maniche arrotolate che con tanta disinvoltura vestivana i giovani re d’America. Jackie lanciava ordini e si posava lieve sugli yacht. Sapeva, ma non toccava fili elettrici. Quanto patirono lei e Lee il divorzio dei loro genitori, ma Jackie, consapevole di un padre infedele, seppe resistere ad un marito impunemente, sfacciatamente, patologicamente adultero.
LACRIME
Lee si sarà chiesta, mille e mille volte, come dovesse essere andare a dormire con tutta l’America e il mondo dietro la porta per sbirciare esattamente quale seta stai indossando e se lacrime ti scorrono sul viso. Lei, Lee, che le sete le conosceva più e meglio della sorella.
Ma Jackie era già mito. A Ravello, come negli Hamptons. Con i due figli al seguito e i welsh terrier davanti al camino. In attesa eterna, dolente di strascichi e gioielli, che JFK rientrasse in casa per lei. Solo per lei.
Tutto il resto è un tailleur rosa che si inginocchia su un sediolino d’auto, mani intrise di sangue e un popolo che smette di respirare.
Lee questo se l’è risparmiato.
Il libro Jackie e Lee. Due sorelle, una vita splendida e tragica di Sam Kashner e Nancy Schoenberger edito da Mondadori parla di loro. Appunto come se quegli anni fossero disegnati solo dalle loro sottili caviglie, raccolte su spiagge o sofà orientali.