la Repubblica, 26 giugno 2019
La Flat tax nel mondo
C’è in giro molta indulgenza sulla flat tax. Forse per un’idea diffusa e radicata, anche fra gli economisti (ridurre le tasse è sempre buona cosa). Non a caso la Lega veleggia nei sondaggi. Eppure a ben vedere la proposta di Salvini è non solo iniqua, e demagogica, ma anche sbagliata sul piano economico.
Che Paese diventeremmo? La flat tax non esiste in nessuna grande economia avanzata, in nessuna nazione dell’Occidente. Nemmeno negli Stati Uniti, a dispetto di quel che ha lasciato credere il leader della Lega: lì per i redditi gli scaglioni sono ben sette (da noi cinque). La riforma fiscale di Trump ha soprattutto tagliato l’imposta sulle società, dal 35 al 21%. Va detto però che anche in Italia quest’imposta è piatta, a un livello non molto lontano da quello fissato da Trump (il 24%, dal 2016).
Di che cosa parliamo quindi? La flat tax sui redditi esiste in numerosi paesi ex sovietici, oltre che in Arabia Saudita e nei paradisi fiscali. È stata introdotta di recente in diversi stati dell’Europa orientale (Romania, Ungheria, Bulgaria, Bosnia, Paesi Baltici), mentre in altri (Albania, Repubblica Ceca, Ucraina, Islanda) è stata provata e presto ritirata, per i risultati fallimentari. Da notare che sono tutte economie piccole e non comparabili alla nostra, che producono poco di loro e beneficiano di delocalizzazioni dai paesi forti dall’eurozona: è questo il modello che vogliamo? Può l’Italia con 60 milioni di abitanti mettersi a fare concorrenza alla Bulgaria o alla Romania, in quanto a generosità fiscale? E tagliando dove? Nella pubblica amministrazione già malandata, che invece avrebbe bisogno di essere rinforzata con nuove leve? Nell’istruzione, dove siamo ultimi fra i paesi avanzati? Nella sanità, dove già mancano i medici?
La flat tax è poi in vigore nella Russia di Putin: un Paese con una base manifatturiera risibile, e arretrata, rispetto all’Italia, che cresce poco ed esporta quasi solo materie prime; e con una disuguaglianza molto più elevata della nostra (anche se molti tendono a dimenticarlo); con la democrazia in stato comatoso, e che non a caso si è messa a sponsorizzare un po’ ovunque regimi illiberali. Di nuovo, è questo il Paese che vogliamo?
Noi siamo già l’economia dell’Eurozona con le disuguaglianze più alte, al punto che queste scoraggiano il merito e ostacolano la crescita: è anche per questo che tutti i nostri partner (che hanno imposte progressive) fanno meglio di noi. E in quanto alla flat tax, comunque la si voglia girare, una cosa è certa: acuirà ulteriormente le disuguaglianze. Davvero è questo di cui abbiamo bisogno? L’Italia, semmai, avrebbe bisogno di rimodulare le imposte, mantenendo la progressività, ma facendole gravare meno sulle fasce medie e basse: magari aumentando gli scaglioni (altro che eliminarli!), ma riducendo le aliquote sulle prime tre fasce. L’Italia poi dovrebbe ristrutturare il suo sistema fiscale in modo da scoraggiare la rendita e, per questo, ripensare altre flat tax già in vigore. Le locazioni, ad esempio, attualmente sono tassate al 21%, per tutti, a prescindere che si diano in affitto un appartamento solo, o decine di immobili: favoriamo in questo modo una ricchezza improduttiva, per eccellenza, che peraltro non può minacciare di fuggire all’estero.
Ma tant’è. La flat tax della Lega è posta a un livello così basso che apparentemente ci guadagnano tutti (anche se i poveri molto meno dei ricchi), nella speranza di far digerire la sua palese iniquità. Ma proprio per questo è ancora più nociva: una mossa demagogica, che secondo tutte le stime scasserebbe i conti pubblici, aggravando ulteriormente lo scontro con l’Europa, fino a far materializzare l’uscita dall’euro. Salvini, nel proporla, è il primo e il più pericoloso fra i populisti.
L’autore, economista e storico, è ordinario di Politica economica all’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara