la Repubblica, 26 giugno 2019
Boris Johnson secondo Michael Dobbs, il creatore di House of Card, che poi è menbro della camera dei Lord
È lui che nel 1989 creò House of Cards, molto prima che diventasse la venerata serie tv su Netflix con Kevin Spacey alias Frank Underwood, il quale nel romanzo originale era però Francis Urquhart, capogruppo conservatore dell’era Thatcher che con brutale spietatezza scala Downing Street e conquista il potere. Boris Johnson è oggi il nuovo Francis Urquhart? «No», risponde l’inglese Michael Dobbs, 70 anni, che oltre a essere il padre di House of Cards fu consigliere della “Lady di Ferro”, capogruppo dei Tory, vicepresidente del partito conservatore con John Major, mentre oggi è membro della Camera dei Lord, autore dell’ultimo Attacco dalla Cina (Fazi editore) e brexiter convinto ma estremamente preoccupato per il futuro del Regno Unito, sempre più un “castello di carte” pronto a sbriciolarsi.
Lord Dobbs, perché Boris Johnson non è Francis Urquhart o Frank Underwood?
«C’è una differenza enorme tra i tre: Francis e Frank pensano soltanto alla pura, machiavellica conquista del potere. Con Boris Johnson è diverso. Qui in gioco c’è il futuro del Paese, ci saranno da fare scelte e prendere impegni serissimi nei prossimi mesi.
Chiunque la spunterà tra lui e il ministro degli Esteri Hunt, avrà bisogno di molta più politica, nel senso puro e collettivo del termine.
I giochi e gli intrighi di potere stavolta non basteranno per sopravvivere».
Lo “spietato” Boris la convince come probabile nuovo premier?
Ieri il suo ex capo e storico conservatore Max Hastings lo ha umiliato sul “Telegraph": “Moralmente corrotto, codardo”.
«Non lo so. Ci sono due tipi di Boris: uno che pare un politico serio, diretto e rassicurante. L’altro assolutamente imprevedibile, o per alcuni inaffidabile. Vedremo.
Di certo, mi pare l’unico premier possibile in questo momento».
Perché?
«Lei crede che il Regno Unito possa sfuggire allo spirito del tempo che vede l’establishment e i suoi partiti sgretolarsi per colpa della loro inerzia? No. Boris è uno che gioca con nuovi schemi, ha carattere, carisma. E, dopo il referendum Brexit di tre anni fa, serve una persona del genere per tirarci fuori dallo stallo e dalla dilaniante incertezza in cui ci siamo ritrovati, la più profonda vista in vita mia dopo tanti anni in politica».
Johnson ama paragonarsi a Winston Churchill. Oppure forse somiglia più ad altri conservatori come Thatcher o Major, con i quali lei ha lavorato?
«Difficile dirlo, ma con Churchill un parallelo c’è: anche negli anni Trenta c’erano l’establishment politico e la democrazia sotto attacco, come oggi. E anche Churchill, come Boris, era un rivoluzionario contro un certo status quo ma poi salvò il Paese e l’Europa».
Vedremo. Intanto però Johnson sta facendo parlare quasi esclusivamente della sua vita privata.
«E che problema c’è? I grandi leader politici raramente sono persone ligie o fedeli. Roosevelt morì quasi nelle braccia della sua amante. O vogliamo parlare di Bill Clinton?».
Che “House of Cards” sarà il Regno Unito sull’orlo di una crisi di nervi dopo il referendum Brexit e lo stallo di oggi?
«Premesso che per fare della buona fiction politica devi annacquare la realtà, in genere molto più estrema, spero che la House of Cards del Regno Unito di oggi sopravviva e prosperi nei prossimi anni. Perché questo è un momento assolutamente decisivo per il futuro del mio Paese.
L’incertezza della Brexit ci sta dilaniando e anche l’unione del Regno è a rischio: gli scozzesi potrebbero presto decidere di andarsene. Se Boris fallisse nel concretizzare la Brexit il 31 ottobre prossimo, sarebbe un’umiliazione storica cui seguiranno danni ancora più profondi, con conseguente crollo degli investimenti e della fiducia nell’economia. Difficilmente questo Paese potrebbe resistere».