Corriere della Sera, 26 giugno 2019
Tav, scenari possibili
L’avvio del bando italiano per gli appalti della Tav non è stato un fulmine a ciel sereno. Per nessuno. Il governo sapeva che sarebbe successo, come un atto dovuto, almeno dal 31 marzo. Da quando l’Unione europea ha richiesto a Francia e Italia l’Action Status Report, l’adeguamento periodico annuale in base al quale i due governi presentano i programmi di attività condivisa.
Un mese dopo
L’appalto per i lavori sulla parte nostrana del tunnel di base, 800 milioni di euro per lo scavo e 200 per la valorizzazione del materiale di scarto, lo smarino della futura galleria, doveva essere lanciato il primo maggio di quest’anno. D’accordo con il ministero alle Infrastrutture e con la presidenza del Consiglio, che dallo scorso inverno ha avocato a sé il dossier sulla contestata linea ad alta velocità Torino-Lione, Telt, la società transnazionale di diritto francese incaricata della realizzazione della Tav, aveva fatto presente a Bruxelles che era in corso la campagna elettorale per le Europee del 26 maggio. Se fosse stata rispettata quella data, sarebbero state infinite polemiche e discussioni. Una questione di opportunità. Al primo Consiglio di amministrazione dopo quella data, è stato dato il via libera, con tutte le cautele imposte dalla legislazione transalpina, ovvero la subordinazione delle candidature delle aziende interessate agli appalti alla decisione finale dei due Stati sulla sorte della Torino-Lione.
La vera partita
Non è stato un Consiglio di amministrazione come gli altri, quello che si è svolto ieri a Parigi. Non solo per la presenza al tavolo del nuovo presidente del Piemonte Alberto Cirio, e quella forse più importante di Iveta Radicova, la coordinatrice europea del Corridoio mediterraneo, anche lei al debutto in quella assemblea. Con la pubblicazione dei bandi italiani, tutto il tunnel è ormai in fase di gara per l’assegnazione degli appalti. Un fatto dal forte valore simbolico, è proprio per questo la decisione di procedere, seppure al passo del diritto francese, è stata presa da Telt dopo una «costante interlocuzione», così fanno sapere fonti Telt, con la struttura commissariale della presidenza del Consiglio. La posta in gioco più alta era quella fissata dall’Unione europea tramite l’Inea, l’Agenzia esecutiva per l’innovazione e le reti, l’ente che tiene i cordoni della borsa per i finanziamenti europei. Lo scorso 6 giugno, il ministro Danilo Toninelli e il suo omologo francese Elizabeth Borne sono stati convocati a Bruxelles. I lavori sono in ritardo, su entrambi i versanti. Urge revisione del trattato internazionale siglato nel 2016, con una nuova tabella di marcia dei lavori per non perdere i 4 miliardi di finanziamento che l’Ue è disposta a mettere sul tavolo della Tav. È la condizione che l’Ue chiede per stanziare i suoi fondi, destinati a salire fino al 55 per cento del totale, anche per le tratte nazionali del tracciato. La spada di Damocle che pende sul governo è questa, perché impone una risposta sulla sorte dell’opera entro il 30 settembre, tre mesi prima della scadenza naturale del primo accordo, pena la restituzione dei finanziamenti ricevuti fino a quel giorno. Telt sta preparando le nuove linee guida, che spostano alla fine del 2021 l’utilizzo definitivo degli 813 milioni ricevuti finora, con l’autorizzazione del Mit e della presidenza del Consiglio.
Nuove ipotesi
Nel silenzio, ma la Tav avanza, con il consenso dei vertici del Mit e del governo. Nei giorni scorsi Marco Ponti, il capo della commissione ministeriale che redige l’analisi costi-benefici sulle grandi opere, di forte orientamento No Tav, ha affermato in una intervista al Corriere di Torino che la Torino-Lione si farà, «come tutto il resto». Proprio ieri, durante un convegno a Roma, il suo vice Francesco Ramella ha detto in pubblico che «l’opera si farà perché il ministro si è fatto convincere». L’ago della bilancia sembra pendere oggi a favore di un Sì sommesso, pronunciato mezza voce, ma pur sempre tale. Il tracciato alternativo ideato dall’ex sindaco di Venaus Nilo Durbiano, che prevede lo scavo di una galleria parallela a quella del Frejus, un tunnel di 15 chilometri da Oulx e Modane, è stato bocciato dai tecnici dell’analisi costi-benefici e suscita perplessità anche tra gli esperti del movimento No Tav. Ma soprattutto è una strada poco praticabile perché trattandosi di un progetto completamente nuovo, farebbe cadere ogni finanziamento europeo. Resta sul tavolo l’ipotesi di una mini Tav, ovvero lo stesso tracciato senza la stazione internazionale di Susa e con l’aggiramento dello snodo di Orbassano. Sono modifiche giudicate possibili anche da Telt, ma hanno una contrindicazione. Con l’innalzamento della quota europea al 55% del totale dei lavori, non solo del tunnel di base, ma dei lavori sulla tratta italiana, una revisione al ribasso sarebbe poco conveniente dal punto di vista economico. Tutte cose che il governo italiano sa bene. Il resto sono schermaglie politiche e pillole da indorare a elettori delusi.