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 2019  giugno 26 Mercoledì calendario

Nino Di Matteo: «Contro le deviazioni clientelari, cambiare rotta: mi candido al Csm»

Nino Di Matteo, magistrato, è nato a Palermo.
Nino Di Matteo lei si candida al Csm con la corrente AeI fondata da Piercamillo Davigo: com’è arrivato a questa scelta?
Ho deciso di accettare l’invito con la speranza e l’entusiasmo di dare un contributo alla spallata definitiva a un sistema non più tollerabile: le correnti sono diventate cordate di potere non solo interne, ma anche esterne alla magistratura e condizionano la carriera, e talvolta il lavoro quotidiano del magistrato. Non sono iscritto a AeI, non sono iscritto a nessuna corrente e non è mia intenzione farlo. Però nutro una profonda stima nei confronti dei colleghi Ardita, che conosco da molti anni, e Davigo: hanno dato una nuova impronta alla consiliatura, decidendo come gruppo di rivolgersi a componenti esterni come me, a candidati non iscritti. È la strada maestra: l’accesso agli organi di autogoverno così come a quello dei ruoli direttivi dell’Associazione nazionale magistrati non possono essere condizionati dal criterio dell’appartenenza a correnti.
Questa decisione avviene dopo uno scandalo che ha messo in rilievo connessioni forti e ingiustificate, fra magistratura e politica. Cosa si può fare ora?
È ipocrita e inaccettabile la sorpresa di chi, rispetto a quanto emerge dalla intercettazioni di Perugia, finge di cadere dalle nuvole. La degenerazione del sistema di autogoverno, il collateralismo politico, il carrierismo, la burocratizzazione, la pericolosa gerarchizzazione degli uffici in Procura, rappresentano un cancro che da molti anni cammina veloce all’interno di un corpo che non ha reagito. Troppe volte sono stati premiati magistrati che nella loro attività hanno tenuto conto di criteri di opportunità politica, e invece isolati magistrati che hanno cercato di lavorare seguendo solo la logica del dovere. Se sarò eletto, mi impegnerò per provare a invertire la rotta: non possiamo cedere alla rassegnazione. Mai come oggi il Paese e i cittadini, soprattutto i più esposti agli abusi del potere, hanno bisogno di una magistratura che recuperi forza, autorevolezza e indipendenza.
Crede questo sia possibile?
Non ci sono solo queste pagine squallide, nella nostra magistratura. C’è, per fortuna, in tutto il dopoguerra e negli ultimi 30 anni, una storia di coraggio, di indipendenza, di una lotta all’illegalità a 360 gradi, nei confronti del potere come nei confronti della mafia e del terrorismo. È la storia che ha portato alla sbarra personaggi come Andreotti, Dell’Utri… Ci sono moltissimi magistrati che, in silenzio, ogni giorno, lavorano con dedizione e sacrificio. Noi dobbiamo lottare perché non si verifichi più che i magistrati non allineati – e sono tanti – vengano mortificati nelle loro legittime aspirazioni di carriera e abbandonati quando con le loro inchieste disturbano il potere. Questo è il contributo che ciascuno dei membri del Csm dovrà dare. Ora o mai più: è necessario dare un segnale di forte discontinuità. Il ruolo della magistratura è insostituibile, e sento in questo momento, da tante parti, la necessità di riformare la legislazione in materia.
C’è chi ha avanzato la proposta del sorteggio.
Io personalmente non la condivido. Allo stato è incostituzionale. A me sembra poi devastante, istituzionalmente e culturalmente, che passi il messaggio che chi quotidianamente amministra la giustizia non sia in grado di scegliere i suoi rappresentanti. Quelle che io definisco “deviazioni clientelari” non si curano solo con espedienti legislativi. Siamo di fronte ad un problema più alto, di etica e dignità professionale: quella che dobbiamo recuperare.
La sua è una storia professionale molto ricca e complessa. Lei è stato il magistrato della Trattativa Stato-mafia; è stato annunciato come possibile Guardasigilli, e poi la vicenda del pool stragi… le delusioni alla fine sono state tante. Come vede ora la sua candidatura per il Csm?
Non ho volontà di rivalsa rispetto al passato. In questo momento l’urgenza è che la magistratura sana trovi la forza di ricompattarsi, soprattutto per respingere il desidero di una parte significativa del potere – non solo politico – di approfittare dell’attuale discredito generalizzato per ridimensionarne di fatto l’autonomia. È un rischio che, al di là del momento, vedo concreto.