la Repubblica, 26 giugno 2019
Tanto affetto per Camilleri
C’è un ragazzo siciliano che telefona tre volte al giorno. Ormai al Santo Spirito, l’ospedale romano dove Andrea Camilleri è ricoverato, lo conoscono tutti. Si è fatto promettere che non appena il Maestro si sveglierà glielo diranno. Lui è pronto a prendere un treno. L’amore per lo scrittore non va cercato, è a portata di mano. Basta dire al tassista “Santo Spirito” per sentirsi chiedere: «Come sta Camilleri?». A guidare la macchina è un fan di Montalbano che se potesse scenderebbe per andarlo a salutare. Antonio Santilli ha letto tutti i libri di Camilleri: «Ha raccontato un uomo umano», dice. Non è una svista, perché è vero, ci sono anche uomini disumani. Montalbano invece «non è un supereroe, è uno di noi, con i nostri difetti e i nostri pregi». I lettori, i fan, non si rassegnano: «So che è molto grave, so anche che è mortale, che non può essere un’araba fenice, ma mi auguro che ce la faccia». Sono passati un po’ di giorni da quando Camilleri è stato ricoverato al Santo Spirito per un arresto cardio-circolatorio. Era il 17 giugno e da allora le sue condizioni, stando ai bollettini medici, restano le stesse: critiche secondo i medici del reparto rianimazione che lo stanno seguendo. Camilleri continua a respirare grazie a una macchina, ma è forte, resiste. Fuori dall’ospedale ormai sono sparite le telecamere. I lettori però lasciano tracce del loro affetto. Passano, chiedono, telefonano, scrivono mail. All’entrata, sul Lungotevere in Saxia, su una piccola colonna a fianco all’ingresso, qualcuno ha fissato un biglietto. Versi in inglese, tratti dalla Terra desolata di Eliot: «To Carthage then I came / Burning burning burning burning / O Lord thou pluckest me out / O Lord thou pluckest / burning». È la voce di Tiresia: «Poi a Cartagine venni / Ardere ardere ardere ardere / O signore Tu mi cogli / O Signore tu cogli / bruciando». Sotto, senza firma: VIVA Camilleri. Chi ha scelto questi versi non ha pescato a caso. Sa che risuonavano nello spettacolo di Camilleri dedicato a Tiresia, l’indovino tebano cieco attraverso il quale Camilleri ha raccontato anche la sua cecità. Una sfida, «una fiammata di teatro», l’aveva definita lui. «La sera, quando torno a casa, rileggo i messaggi mandati al nonno, mi danno forza», dice Arianna, la nipote, seduta fuori dalla sala rianimazione aspettando di entrare. Tra gli ultimi regali, la lettera di un bambino di dieci anni. Va dritta al cuore, c’è scritto “ti amo”. Manuela invece scrive dalla Sicilia: “Mi hai fatto prendere coscienza della mia sicilianità. Non mollare”. Per tutta la famiglia, per le tre figlie Elisabetta, Andreina e Mariolina, sono giorni duri, di attesa. Sedute nella saletta del reparto rianimazione aspettano: «Gli parliamo, gli raccontiamo dell’amore che riceve». Mariolina sta conservando tutte le lettere, tutti i messaggi dei lettori. Alessandra, l’altra nipote, sorride. È un’attrice, dal nonno ha ereditato la passione per il teatro. Con loro c’è anche un allievo di Camilleri, suo studente all’Accademia negli anni Ottanta. «È stato davvero un maestro, anche se a lui dava fastidio che lo chiamassero così». Il prossimo 15 luglio Camilleri avrebbe dovuto portare alla Terme di Caracalla il suo ultimo lavoro teatrale, l’Autodifesa di Caino. La staffetta d’affetto intorno a lui è commovente. Manuela glielo dice chiaro: «Non mollare, altrimenti a chi scasserò i cabasisi parlando dei tuoi libri?».